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Non serve allungare la detenzione. Lo provano i dati

Decreto Salvini Chissà come si comporteranno i senatori dei 5Stelle quando dovranno votare l’articolo 2 del decreto “sicurezza”, approdato in Senato, con l’incremento del tempo massimo di trattenimento nei centri di permanenza […]

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 11 ottobre 2018

Chissà come si comporteranno i senatori dei 5Stelle quando dovranno votare l’articolo 2 del decreto “sicurezza”, approdato in Senato, con l’incremento del tempo massimo di trattenimento nei centri di permanenza per il rimpatrio. Destinati agli stranieri senza documenti, passano da novanta a centottanta giorni.

Nel 2014, i senatori grillini, molti dei quali confermati nell’attuale legislatura o persino attuali membri del governo giallo-verde, votarono a favore della riduzione a novanta giorni del periodo massimo di detenzione amministrativa, approvando un emendamento alla legge europea 2013 proposto dai senatori Pd Manconi e Lo Giudice. E non furono i soli, visto che a favore, oltre alla maggioranza di allora, votarono anche illustri esponenti di Forza Italia e centristi, mentre contrari furono solo i leghisti. Vedremo come si comporteranno i pentastellati ora che sono maggioranza, a quattro anni di distanza da quella presa di posizione molto chiara.

Perché se c’è un aspetto che risulta evidente quando si ripercorre la storia dei centri di identificazione ed espulsione, ora Cpr – introdotti nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano per i casi di grave pericolo per l’ordine pubblico – è il ricorso sistematico al prolungamento dei tempi massimi di trattenimento come segnale di una nuova linea “dura” e più repressiva da parte dei governi di centro-destra alternatisi in questi venti anni.

La lotta senza quartiere all’immigrazione irregolare è puntualmente passata, e passa, dai Cie e dalla durata della detenzione. Che era di trenta giorni, un mese, con la legge Turco-Napolitano ma nel 2002 con la legge Bossi-Fini diventa di sessanta giorni, due mesi, poi diventati centottanta, sei mesi, con il «Pacchetto sicurezza» nel 2008, lo stesso che ha introdotto il reato di immigrazione clandestina ancora previsto nel nostro ordinamento.

Addirittura, nel 2011, altre modifiche legislative, sempre a firma Berlusconi-Maroni, prevedevano la possibilità di prorogare la detenzione fino a un massimo di diciotto mesi complessivi. E a chi obietta che questi tempi lunghi sono definiti dalla direttiva europea sui rimpatri non si può non far notare che quella stessa direttiva prevede esplicitamente il ricorso al trattenimento come misura residuale per casi di particolare gravità, esortando alla massima cautela in quanto si tratta di privazione della libertà, con tutto il portato enorme che ciò implica a livello di diritti fondamentali delle persone. Sono mesi di vita sospesa, in un centro chiuso e spesso delimitato da muri, reti, gabbie, in attesa di un rimpatrio che difficilmente dopo i primi due mesi passati lì dentro verrà effettuato.

È la storia di questi venti anni di Cie che dimostra come prolungare il trattenimento sia una misura tutta ideologica, sicuramente iniqua e soprattutto inutile. Prendendo in esame gli ultimi anni, secondo i dati del Ministero dell’interno disponibili, gli stranieri trattenuti nel corso del 2012 sono stati circa 8.000 e di questi solo la metà sono stati rimpatriati. Nel 2013 su 6.000 trattenuti, 2.749 hanno lasciato l’Italia. Quindi tra il 45 e il 50 per cento delle persone passate dai Cie sono state rimpatriate, nonostante il prolungamento dei tempi del trattenimento a diciotto mesi. Numeri molto simili si registrano nel 2014, 2015 e nel 2016, col massimo a tre mesi. La media dei rimpatri effettuati rispetto alle persone trattenute continua a essere intorno al 50%, a prescindere dunque dalla durata del trattenimento. Il nodo critico, evidentemente, non sono i tempi necessari per l’identificazione dei trattenuti ma la scarsa collaborazione dei paesi di origine nel riammetterli, oltre alla complessità delle operazioni di rimpatrio e al loro costo.

Nonostante le intenzioni ribadite più e più volte dal ministro dell’Interno, non sarà facile mettersi d’accordo con i paesi di origine. E sembra improbabile che sei mesi di trattenimento nei Cpr, come prevede il nuovo decreto-legge, aiutino a espellere tutti gli stranieri irregolari presenti nel nostro Paese, come continua a dichiarare di voler fare Salvini.

*ricercatrice

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