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«Non riaprite quella bomba ecologica»

«Non riaprite quella bomba ecologica»

Puglia A Taranto si celebra un altro processo per disastro ambientale, quello della discarica di Lizzano. 18 sindaci mobilitati contro la probabile riapertura

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 19 ottobre 2023

L’istanza della Lutum s.r.l. di riattivazione di un’installazione con titolo autorizzativo revocato risulta improcedibile e pertanto si chiede a codesta amministrazione provinciale di rigettarla». Sono le parole scritte di proprio pugno da Vittorio Esposito, funzionario a capo della Agenzia regionale di protezione ambientale, l’Arpa, di Taranto, a gettare ombre sulla procedura di autorizzazione integrata ambientale (Aia) avanzata dalla società Lutum Srl per la riapertura della discarica così detta Vergine. Vergine, dal cognome di Giuseppe, vecchio proprietario delle cave e dei terreni dove negli ultimi 20 anni sono stati smaltiti gli scarti dell’industria italiana: farmaceutica, petrolifera, siderurgica, tessile. Milioni di tonnellate, indicano i dati ricavati dalla Camera di Commercio di Taranto. Scarti delle «vicine di casa», acciaieria ex Ilva, e raffineria Eni, soprattutto. Alle parole del funzionario Esposito sono seguite appena qualche giorno fa quelle di alcuni consiglieri di maggioranza del comune di Taranto (il sito ricade infatti in area amministrativa del capoluogo) che hanno fatto mettere nero su bianco dal consiglio comunale in un ordine del giorno la propria contrarietà alla riapertura. E in cui si legge che «si chiede l’Aia senza aver completato, né i lavori di messa a sicurezza, né quelli relativi alle misure di prevenzione».

SIAMO A LIZZANO, TRA LE CAMPAGNE CHE SI TROVANO a pochi chilometri dalla masseria luccicante di Manduria dove quest’estate Bruno Vespa ha portato mezzo governo a soggiornare, e in cui si gioca da tempo una storia infinita di molti affari e tanto potere all’interno di un paesaggio storico e naturalistico millenario. Sulla pelle delle donne e degli uomini che abitano all’interno di cinque piccoli comuni. Faggiano, Fragagnano, Monteparano, Roccaforzata e appunto Lizzano.

TUTTO RUOTA ATTORNO ALLA SEMPRE PIÙ PROBABILE riapertura della Discarica Vergine. Centinaia di metri quadri di terreno sequestrati dai carabinieri nel 2014, e che oggi sono al centro di un nuovo processo in cui viene contestato ai tre imputati, Paolo Ciervo, Pasquale Moretti e Mario Petrelli, di aver provocato «un disastro ambientale attraverso l’alterazione di un ecosistema, per effetto della contaminazione delle acque sotterranee determinata dal percolato della discarica».

IL 12 SETTEMBRE SI È TENUTA UNA NUOVA UDIENZA, interlocutoria, mentre la sentenza di primo grado dovrebbe arrivare entro la fine dell’anno, come confermano fonti all’interno del tribunale. In una delle ultime udienze che si sono celebrate, a sfilare sono stati i consulenti della difesa. Carmelo Carrieri è uno di questi, chimico ora in pensione all’istituto di ricerca sulle acque del Cnr, il professore ha riferito che «la concentrazione dei nitrati tra la zona vicino alla discarica e la zona più lontana, più o meno lì stiamo, dato che l’azoto può venire da un allevamento intensivo, da qualche errore di concimazione». Sarà.

IN TUTTI I CASI, QUANDO SONO COMINCIATI I SEQUESTRI, dieci anni fa, l’azienda è fallita, la discarica è stata chiusa, e gli enti pubblici hanno restituito ai vecchi proprietari le fideiussioni che sarebbero servite per garantirne la bonifica e la messa in sicurezza. Così, la Provincia allora guidata dal politico di Forza Italia Martino Tamburrano, (poi condannato a 9 anni di carcere in primo grado proprio perché accusato di prendere tangenti da altri signori pugliesi dei rifiuti) e senza che la regione Puglia di Michele Emiliano muovesse qualche forma di opposizione, ha favorito in qualche modo la vendita di quell’immensa area ex agricola, ormai drammaticamente avvelenata e compromessa.
«IN TOTALE SONO GIA’ STATE SVERSATE NELLA DISCARICA Vergine un milione e mezzo di tonnellate di scarti industriali. E una cifra altrettanto prevede di conferire l’imprenditore che ha avanzato la richiesta per riaprire», dice Giovanni Gentile, presidente dell’Associazione Attiva Lizzano, fulcro della mobilitazione contro il sito da più dieci anni, durante i quali si è interessata più volte anche la locale procura Antimafia. «Il caso della Vergine, per affari in gioco e dimensione, non è una questione locale», continua Gentile. Ad ogni modo è una questione drammatica. Così, contro l’ipotesi della riapertura del sito, il 14 luglio scorso cinquemila persone – secondo la questura – hanno sfilato in corteo per protesta. Tra di loro c’erano anche diversi sindaci e i parlamentari del territorio: Dario Iaia di Fratelli d’Italia e Mario Turco del Movimento Cinque Stelle, l’euro parlamentare Rosa D’Amato e il Pd locale rappresentato dal deputato Ubaldo Pagano.

A CONTI FATTI, PERÒ, GLI INTERESSI IN GIOCO sembrano pesare più della volontà dei cittadini e degli amministratori locali. L’imprenditore che acquistò la Vergine subito dopo il sequestro (per rimetterla in sicurezza e poi riempirla) alla cifra di 8 milioni di euro, è Antonio
Albanese, proprietario della Cisa, discarica con cui accoglie la maggior parte dei rifiuti solidi urbani prodotti dalle province di Bari e Taranto. Albanese – si diceva- è il proprietario della Lutum Srl, società che secondo i dati camerali detiene un capitale sociale da quindici mila euro, «ma che è pronta ad incassare mezzo miliardo di euro dallo sfruttamento ulteriore di queste terre», ha calcolato l’ex consigliere della Regione Puglia, Mino Borraccino.

L’IMPIANTO, INFATTI, POTREBBE ESSERE riconvertito per ospitare rifiuti solidi urbani, dopo aver ospitato prima quelli di origine industriale, è l’allarme lanciato dai comitati. Ma c’è di più. «C’è da considerare che l’intero iter portato avanti dall’azienda nei confronti dell’amministrazione provinciale appare perlomeno controverso», afferma Antonietta D’Oria, pediatra e già sindaca del comune di Lizzano che denunciò nel 2010 davanti ai deputati della Commissione di inchiesta parlamentare sul ciclo dei rifiuti presieduta dall’avvocato Pecorella, «che il fenomeno del wheezing, l’asma del bambino, a Lizzano è presente nelle stesse percentuali con cui è presente tra i bambini di Taranto che vivono sotto le ciminiere dell’Ilva». E c’è dunque nella vicenda una questione sanitaria, su cui ancora una volta le ragioni economiche potrebbero prevalere nell’ipotesi sempre più concreta della riapertura di questa ennesima bomba ecologica nel territorio tarantino.

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