Garzón: «Non è coerente essere comunista e indipendentista»
Intervista ad Alberto Garzón «Questa è una guerra di bandiere», il coordinatore federale di Izquierda Unida distribuisce equamente le colpe fra Charles Puigdemont e Mariano Rajoy
Intervista ad Alberto Garzón «Questa è una guerra di bandiere», il coordinatore federale di Izquierda Unida distribuisce equamente le colpe fra Charles Puigdemont e Mariano Rajoy
Il coordinatore federale di Izquierda Unida non ritiene «coerente» essere al tempo stesso «indipendentista e comunista» nel contesto catalano, quello di un conflitto polarizzato, di una «guerra di bandiere» e, chiarisce, si identifica solo con la seconda qualifica. Alberto Garzón Espinosa ha presentato lunedì il suo nuovo libro, Por qué soy comunista (Ediciones Península), con il quale si propone di «arricchire la cassetta degli attrezzi» di cui dispone la sinistra per «criticare il mondo esistente» e «costruirne uno alternativo».
Intervistato da Público, Garzón distribuisce equamente fra Charles Puigdemont e Mariano Rajoy la responsabilità della situazione attuale in Catalogna, e non perde di vista l’obiettivo della costruzione di una repubblica federale che garantisca i diritti sociali dei lavoratori e si batta contro diseguaglianza e precarietà. Due questioni, sostiene, neglette dal presidente del Gobierno (spagnolo) come dal presidente della Generalitat (catalana). Sottolinea che il processo indipendentista «non è appoggiato dalle classi lavoratrici» e lancia l’allarme sulla rinascita dell’estrema destra e sull’avanzata del nazionalismo spagnolo: «Partito popolare e Ciudadanos hanno nel loro Dna quello che Franco chiamava “la sacrosanta unità della Spagna”».
Davanti, l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione spagnola con argomenti «che non si possono giustificare giuridicamente, come l’intervento su Tv3», e una possibile Dichiarazione unilaterale di indipendenza (Dui) «senza valore legale» e «senza legittimità». Garzón parla chiaro e non nasconde che la polarizzazione possa costare dal punto di vista elettorale al gruppo parlamentare Unidos Podemos- En Comú Podem-En Marea, di cui fa parte la coalizione delle sinistre, ma si dice convinto che «prima o poi la proposta di un referendum concordato si farà strada». (…)
Nella crisi catalana, in un clima tanto polarizzato, manca forse da parte della sinistra la capacità di raccontare, di analizzare e spiegare la situazione?
Per semplificare, credo che manchi molto un’analisi marxista. La sinistra ha sbagliato quando ha smesso di parlare delle questioni dell’economia politica e di strategie di lungo periodo, quando ha indebolito la sua scelta internazionalista, e credo che questi elementi siano fondamentali per affrontare fenomeni e problemi come quello della Catalogna. Dobbiamo capire perché le classi popolari, le più compromesse dalla crisi e dalla globalizzazione, continuano a votare per il Partito popolare, o perché un processo come quello indipendentista non è appoggiato dalle classi lavoratrici della Catalogna. Queste classi lavoratrici, in molti casi immigrati di seconda generazione, provengono da altre parti della Spagna e non sono indipendentiste. Il marxismo non spiega tutto, ma credo che sia strumento imprescindibile per capire quello che succede e agire di conseguenza.
(…) Nel libro, lei sostiene anche l’incoerenza dell’essere marxista e al tempo stesso nazionalista. E quanto all’essere comunista e indipendentista?
(…) Dal mio punto di vista, non è coerente essere indipendentista e comunista, in un contesto come quello catalano. Ci sono state altre circostanze storiche che hanno fatto sì che nazioni colonizzate, oppresse da imperi, negli anni 1950 del secolo scorso abbiano cercato la libertà ricorrendo agli ideali comunisti, ma erano due ideali che si incontravano su un cammino comune. Il comunismo è internazionalista. (…)
Come valuta l’applicazione dell’articolo 155? Se lo aspettava?
L’applicazione dell’articolo 155 è una misura sproporzionata, un errore. Contiene elementi che non si possono giustificare da alcun punto di vista giuridico, come l’intervento sui mezzi di comunicazione pubblici. Questa deriva peggiorerà la situazione e aumenterà la tensione senza servire a incanalare politicamente il problema. Il quale non ha a che vedere con Puigdemont, né con il fatto che quattro o cinque persone disattendano la legge, ma piuttosto con un fenomeno sociale che oltrepassa chiaramente i limiti della legge; ha a che vedere con 2,5 milioni di persone mobilitate, chiedendo qualcosa che in questo momento è illegale. C’è un 80% della società in Catalogna che vuole votare, a favore o contro l’indipendenza. Davanti a questo fatto è possibile chiudere gli occhi e agire con la repressione, i giudici, la polizia, e l’articolo 155, oppure si può riconoscere una realtà: che possiamo trovare una soluzione solo con il dialogo, il negoziato e trovando formule ragionevoli. La prima opzione, quella degli occhi chiusi, porta ad accentuare le pulsioni indipendentiste, è il modo di procedere degli ultimi anni e lo conosciamo già. (…)
Quale strategia avete seguito nella plenaria al Senato convocata per ratificare il 155?
Abbiamo votato contro, come siamo contro la Dichiarazione unilaterale di indipendenza. Pensiamo che quello che ha fatto Puigdemont sia un errore. La Diu non ha alcuna legittimità, il referendum del 1 ottobre non ha avuto le garanzie necessarie perché se ne potesse trarre un’espressione legittima. Risalendo alle elezioni autonomiste del 2015, nemmeno allora gli indipendentisti arrivarono alla metà dell’elettorato, perciò non c’è fondamento per dichiarare unilateralmente l’indipendenza, è un gesto assolutamente antidemocratico. La road map di Puigdemont non è solo un disastro, ma è anche irresponsabile. Ma applicare la 155 è un errore perché le ragioni sostenute non sono corrette. A mio parere, avrebbero dovuto approfittare della non dichiarazione di indipendenza formale per aprire uno spazio di dialogo. Invece hanno preferito uno scenario di maggiore conflitto, e questo avrà come unico risultato, credo, il fatto di dare ossigeno all’indipendentismo, che crescerà.
Pablo Iglesias non ha criticato Puigdemont finché alcune settimane fa non si è tenuto il Consiglio cittadino statale. Là è stato piuttosto chiaro e ha ripartito la responsabilità della situazione fra il presidente del governo e il presidente della Generalitat. Chi ha più responsabilità: Rajoy o Puigdemont?
Come partito che difende una Spagna federale e basata sui diritti sociali, noi siamo sempre stati molto critici con Puigdemont e Rajoy. Non dimentichiamo che Puigdemont rappresenta il PdeCAT, il partito che ha fatto i tagli di bilancio in Catalogna in questa legislatura, il partito che ha sostenuto le riforme del diritto del lavoro del Partito popolare. Abbiamo ben presente che entrambi i loro partiti rappresentano interessi contrapposti a quelli della classe lavoratrice, in Catalogna e Spagna. Ma il problema è più antico di Rajoy e Puigdemont. Questi due protagonisti sono collocati nel contesto di una traiettoria più ampia e sono assolutamente irresponsabili. Non è facile capire chi abbia le maggiori responsabilità. Sono entrambi irresponsabili perché sono incapaci di favorire il dialogo. Entrambi.
(…) È reversibile la situazione, o la frattura sociale già compiutasi è molto difficile da recuperare?
La frattura sociale è già evidente, e sarebbe stata evitata se ci fosse stato dialogo fin dal principio. Nel 2012, al Congresso dei deputati, come Izquierda Unida proponemmo di trasferire le competenze relative ai referendum non vincolanti alle comunità autonome. Questo avrebbe permesso di fare un referendum nella legge, sarebbe stata una formula simile a quella del Regno unito, avrebbe aperto possibilità interessanti. Se si fosse prestata attenzione alle proposte di Izquierda Unida nel 2012, e ad altri attori che chiedevano cose simili, non avremmo avuto un 1 ottobre, le cariche della polizia e la tensione che stiamo vivendo non solo in Catalogna, ma anche in Spagna, nelle famiglie, dappertutto. La frattura si può ricomporre, ma occorrerà tempo, e dirigenti all’altezza del momento storico. Bisogna essere disposti a ricostruire il paese, e questo significa costruire un paese nel quale l’unità rispetti la diversità: un paese federale che rispetti le specificità territoriali, con il punto in comune di soddisfare le necessità fondamentali dei lavoratori, in Catalogna e nel resto dello Stato: un elemento sul quale Partito popolare (Pp) e Partito socialista (Psoe) non vogliono assolutamente discutere.
(…) Come potete usare la vostra forza, nel Congresso e in altre istituzioni, per affrontare la situazione, andando oltre la richiesta di dialogo? Come Unidos Podemos chiedete il dialogo e un referendum concordato, ma Izquierda Unida è a favore di una Repubblica federale.
Giusto. Noi crediamo che una repubblica federale sia la veste più adeguata per risolvere i problemi territoriali e sociali. (…) Ma il dialogo deve costruirsi sempre in entrambi gli spazi, quello istituzionale e quello della cittadinanza, della strada, affinché si aiutino a vicenda. (…)
*Pubblichiamo, per gentile concessione del quotidiano Público, l’intervista ad Alberto Garzón; qui nella versione originale
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