Un’assemblea sindacale «storica» impreziosita dal dibattito finale fra il ministro Adolfo Urso e Maurizio Landini.

Come proposto e approvato dai rispettivi congressi, i metalmeccanici della Fiom e i chimici della Filctem Cgil si sono riuniti per discutere di politica industriale. Nessun prodromo verso il vagheggiato «sindacato dell’industria», semmai «un primo passo di un percorso di condivisione di temi e strategie» chiuso con un documento comune che chiede alla confederazione di «costituire un coordinamento delle politiche industriali e occupazionali, promuovendo la costituzione di un osservatorio sull’industria, quale luogo politico per l’elaborazione di proposte».

DUNQUE LA SINISTRA DELLA FIOM e la destra dei chimici Filctem unite contro la deindustrializzazione con i segretari generali Michele De Palma e Marco Falcinelli pronti alla «mobilitazione comune in caso di mancato ascolto da parte del governo».

Un governo che nel pomeriggio con il ministro Urso ha mostrato il suo volto: (finto) ascolto e rispetto dei sindacati, convocati di rado e ascoltati mai. Un governo che punta a «durare 5 anni e aspetta il 2024 per avere una maggioranza diversa in Europa e una nuova commissione» di destra per modificare in senso «nazionale e protezionista le politiche industriali e non solo».

I trecento delegati, equamente divisi negli interventi, hanno tratteggiato «il deserto industriale» che è diventata l’Italia alle prese con una «transizione ambientale e tecnologica non governata». Le dimostrazioni vissute sulla pelle degli stessi lavoratori vanno da Nord a Sud, ma colpiscono soprattutto nel mezzogiorno.

Si va da Leonardo che produce aerei che Ita non compra per passare all’ex Ilva in cui lo stato lascia comandare «Arcelor Mittal mentre Germania, Francia e Belgio discutono gli Ipcei (Progetti di comune interesse europeo, ndr) sulla decarbonizzazione senza l’Italia».

SI VA DAL PETROLCHIMICO di Ferrara in cui le multinazionali italiane (Versalis) ed estere (Berco) hanno «tagliato tutto il tagliabile lasciando al lavoro quasi solo appalti con il contratto Multiservizi che gli costa meno» all’automotive con Stellantis e la componentistica sempre più ridotta da Torino a Melfi.

Il paradosso di quanto stanno vivendo i lavoratori è riassunto dalla domanda retorica di un delegato: «È possibile che per la pandemia tutto è stato gestito dallo stato con fondi pubblici e invece la transizione ecologica e tecnologica viene lasciata tutta alla gestione del capitale privato?».

SOTTO ACCUSA c’è la «mancanza totale di politiche orientate a costruire le filiere necessarie ad esempio nei pannelli fotovoltaici, ora prodotti e ideati in Cina, o le batterie elettriche con la sola gigafactory di Termoli di Stellantis che è ancora un castello di carta senza alcun impegno occupazionale reale».

Le proposte del sindacato allora sono chiare: «Redistribuire il lavoro che c’è a parità di salario, perché in tutte le rivoluzioni industriali si sono persi posti di lavoro, e ammortizzatori sociali che garantiscano la formazione», sottolinea Falcinelli. «Più che davanti a una transizione industriale siamo davanti a una dismissione: serve invece una transizione democratica in cui si contratti con governo e imprese cosa si produce e come lo si fa innovando, investendo sulle nuove produzioni», spiega Michele De Palma, ricordando «il surreale dibattito italiano sullo stop al motore endotermico fra 2030 e 2035 quando tutti i grandi gruppi come Stellantis hanno già deciso di terminare la produzione e la fanno pagare ai lavoratori».

NEL POMERIGGIO Maurizio Landini attacca «sui ritardi sulle auto elettriche» a causa di Marchionne, rilancia la richiesta di un’Agenzia per lo sviluppo che orienti le tante aziende pubbliche coinvolte nella transizione (Eni, Enel, Terna, Snam), denuncia «il dialogo del tutto insufficiente col governo». Per tutta risposta il ministro Urso promette ascolto ma rivendica l’unico risultato raggiunto in questi mesi – la vendita della raffineria Lukoil di Priolo – attaccando il «precedente governo»: «il Mef (il ministro tecnico Daniele Franco, non il suo predecessore Giorgetti, ndr) inadempiente sulla documentazione sulla proprietà russa».