Di fronte a quelle che il capo del Cremlino, Vladimir Putin, ha chiamato «operazioni speciali» in Ucraina, tutta la società russa è nei fatti mobilitata. Vale prima di tutti per gli apparati dell’esercito e della sicurezza, che stanno impiegando sul terreno una quota sempre più alta del loro enorme potenziale. Vale per la classe politica, oramai piegata su misure oltre la soglia dell’autoritarismo, come quella approvata all’unanimità che prevede quindici anni di carcere per i resoconti diversi da quelli ufficiali. E vale anche per la Chiesa ortodossa, che ha offerto una base teologica a Putin con un discorso pubblico del patriarca, Kirill, sulla «lotta metafisica» contro l’occidente.

Ora come ora è difficile, insomma, scorgere reali divisioni sulla linea stabilita da Putin assieme al ministro della Difesa, Sergei Shoigu, al di là dei segnali, pochi e ancora troppo deboli, emersi negli ambienti della diplomazia e fra i vertici di alcune grande aziende, soprattutto nel settore energetico. Esiste, quindi, la possibilità di rovesciare le decisioni assunte sin qui al Cremlino? Se fosse sufficiente il paragone con le manifestazioni che hanno attraversato Mosca nel 2014, alla vigilia del ritorno di Crimea e Sebastopoli sotto l’autorità del Cremlino, si potrebbe concludere che il sostegno dei russi a Putin sia cresciuto nel giro di un decennio.

È vero, da due settimane si vedono proteste in molte città, da San Pietroburgo, sul Mar Baltico, a Ulan Ude, in estremo oriente, e pur di fermarle la polizia ha risposto con una pesante repressione. Ma quel che si è visto sinora sembra comunque poca cosa rispetto all’ondata emotiva che ha spinto decine e decine di migliaia di persone a scendere in strada otto anni fa, e rispetto anche alle manifestazioni organizzate per ragioni differenti dal Partito comunista, dai radicali dell’Ldpr, o dai sostenitori di Alexey Navalny. Un solo indicatore non basta, naturalmente, a spiegare come sia orientata davvero l’opinione pubblica, il che è vero soprattutto in Russia, data l’enorme differenza fra i centri urbani e le periferie in un paese che conta centocinquanta milioni di abitanti distribuiti in ventidue repubbliche.

L’assenza di un vero movimento contro la guerra sembra confermare, tuttavia, i sondaggi secondo cui la grande maggioranza dei cittadini ritiene valide le ragioni con cui Putin ha spiegato le sue scelte militari, nonostante le enormi ripercussioni che le misure economiche dell’Europa e degli Stati Uniti già producono sulla vita quotidiana di milioni di persone. I timori in tema di sicurezza sull’ingresso nella Nato dell’Ucraina sono ampiamente condivise in Russia e negli ultimi trent’anni hanno attraversato in modo trasversale ogni schieramento politico. Ma su questa posizione, occorre ricordarlo, la società è arrivata subendo campagne mediatiche, arresti fra le file dell’opposizione e leggi che hanno spinto i media non allineati a chiudere e molti giornalisti a fuggire all’estero. Il margine concesso alle opinioni differenti si è progressivamente ridotto. Oggi è quasi inesistente.

Il confronto tra l’establishment putinista e la nazione sembra almeno per adesso rinviato al giorno in cui il presidente ordinerà la fine delle operazioni speciali. Dalle condizioni di un eventuale accordo con le autorità ucraine dipenderà il giudizio della Russia sull’operato del Cremlino anche alla luce delle perdite in termini di vite umane. Sempre che per allora un giudizio i cittadini siano in grado di esprimerlo in modo pieno. Le prossime presidenziali sono fissate al 2024. Mancano due anni.

Può essere un periodo decisivo per le sorti della classe politica al potere. Ma già da ora è possibile una valutazione su Putin. Nel 1999 Boris Eltsin lo aveva scelto per portare a termine due compiti. Uno era privato: garantire famiglia e familiari davanti alle minacce della transizione. L’altro aveva a che fare con le sorti del paese: conservare le riforme liberali, soprattutto sul piano economico. A vent’anni di distanza si può dire che soltanto uno dei due obiettivi sia stato raggiunto. Non si tratta, è chiaro a tutti, di quello legato al benessere economico, per non parlare delle libertà individuali.