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Non basta riciclare di più. Bisogna produrre meno rifiuti

illustrazione rubrica attenti ai dinosauriIllustrazione – Costanza Fraia

Attenti ai dinosauri La rubrica a cura della task force Natura e Lavoro

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 7 ottobre 2021

L’industria del riciclo è stata accontentata dal Ministro della Transizione Ecologica, e non è una buona notizia, contrariamente a quanto si potrebbe pensare. È stata accontentata attraverso i due decreti pubblicati il 28 settembre 2021 (DM 936 e DM 937), i primi che destinano risorse del PNRR per la implementazione dell’economia circolare ma che mirano solo a rinforzare il settore del trattamento dei rifiuti, immaginando un futuro in cui i rifiuti cresceranno.

In sé la cosa non sarebbe da criticare se non la si guardasse da un punto di vista più ampio, quello del New Deal Europeo, di cui l’economia circolare è uno dei pilastri, perché – guarda caso – il fine ultimo dell’economia circolare è quello di ridurre al minimo la produzione di rifiuti. E per farlo, la Commissione suggerisce tutta una serie di azioni, indicate nel documento “Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare” della Commissione Europea. Il documento, che sembra essere sfuggito al ministro, prevede:

  • “il miglioramento della durabilità, della riutilizzabilità, della possibilità di upgrading e della riparabilità dei prodotti, la questione della presenza di sostanze chimiche pericolose nei prodotti e l’aumento della loro efficienza sotto il profilo energetico e delle risorse;
  • l’aumento del contenuto riciclato nei prodotti, garantendone al tempo stesso le prestazioni e la sicurezza;
  • la possibilità di rifabbricazione e di riciclaggio di elevata qualità;
  • la riduzione delle impronte carbonio e ambientale;
  • la limitazione dei prodotti monouso e la lotta contro l’obsolescenza prematura;
  • l’introduzione del divieto di distruggere i beni durevoli non venduti;
  • la promozione del modello “prodotto come servizio” o di altri modelli in cui i produttori mantengono la proprietà del prodotto o la responsabilità delle sue prestazioni per l’intero ciclo di vita;
  • la mobilitazione del potenziale di digitalizzazione delle informazioni relative ai prodotti, ivi comprese soluzioni come i passaporti, le etichettature e le filigrane digitali;
  • un sistema di ricompense destinate ai prodotti in base alle loro diverse prestazioni in termini di sostenibilità, anche associando i livelli elevati di prestazione all’ottenimento di incentivi”.

Nel documento si aggiunge inoltre che occorre “disaccoppiare la generazione di rifiuti dalla crescita economica” attraverso “iniziative funzionali al raggiungimento dell’obiettivo di ridurre in misura significativa la produzione totale di rifiuti”.

Riducendo l’economia circolare al trattamento dei rifiuti, che i decreti sono volti a migliorare, e questo è un bene, il Ministro affronta l’economia circolare solo dalla coda, invece che nel suo complesso, come è essenziale per non snaturarne lo spirito, e quindi quello del Green Deal.

E certamente il ministro lo sa, ma forse è stato convinto ad agire così dall’industria del riciclo e da quella della plastica monouso.

Infatti, che l’industria del riciclo e quella della produzione dei rifiuti non gradissero politiche volte alla riduzione dei rifiuti, che costituiscono la materia prima del loro business, era già stato espresso chiaramente con la loro singolare inserzione a pagamento comparsa l’anno scorso sui principali quotidiani, in cui si affermava che i rifiuti costituiscono “un approvvigionamento sostenibile e continuo negli anni di materiali ed energia”, ed è già stato denunciato in un articolo dal titolo “Rifiuti, il riciclo non è economia circolare” pubblicato su Il Manifesto del 28 maggio scorso.

Far passare l’idea che “economia circolare” significhi semplicemente fare la raccolta differenziata e “riciclare a più non posso” (ribadendo che si tratta di qualcosa che va fatto, ma non solo) è contro lo spirito e la lettera del Green Deal e favorisce il rafforzamento e la creazione di attività industriali per le quali più rifiuti ci sono meglio è. Cioè, operando solo sul lato del riciclo si crea un sottosistema produttivo che si batterà fieramente per avere sempre più rifiuti da riciclare.

E, per contrastare la loro inevitabile diminuzione conseguente all’applicazione dei principi dell’economia circolare, l’industria del riciclo imporrà che invece continuino ad esserci utilizzando il solito ricatto occupazionale. Sostenuti in questo da quelli che producono ciò che diventerà rifiuto, che sono già entrati in campo. Infatti i produttori italiani di plastica monouso si sono opposti alla adozione della direttiva europea che mette al bando alcuni prodotti dal 3 luglio scorso e, grazie sempre al cosiddetto Ministero della Transizione Ecologica, sono riusciti a continuare a fare i loro affari come se niente fosse, unici in Europa. In Italia, infatti, la direttiva è stata adottata solo in parte.

Diversamente dall’Italia, in Europa intanto si legifera imponendo il diritto alla riparazione dei prodotti (in Francia) e l’obbligo del vuoto a rendere (in molti altri paesi membri), e combattendo l’obsolescenza prematura (in Francia); anticipando così le corrispondenti direttive europee in via di elaborazione. Cioè si cerca di mettere in atto la vera economia circolare, quella che mira alla minimizzazione dei rifiuti.

Ci auguriamo vivamente che la nostra impressione sia sbagliata, che il “Piano d’azione sull’economia circolare” della Commissione Europea non sia sfuggito al ministro, e che nel giro di qualche giorno vedremo altri decreti che vanno a coprire le gravi lacune di questi primi.

Se così non dovesse essere, non resterebbe che unirsi al coro di bla bla bla dei giovani di Fridays for Future.

 

 

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