«Non abbiamo più paura. Combatteremo» è la scritta sullo striscione su un viadotto della superstrada Modarres che attraversa il centro di Teheran. Un’immagine potente, un messaggio che ben trasmette la determinazione dei dimostranti in Iran.

In un video, anche questo diffuso in rete, un uomo sta modificando il testo di uno slogan su un grande pannello pubblico. La frase «La polizia è al servizio del popolo» diventa così «La polizia uccide il popolo».

Nonostante il blocco di Internet, Instagram e WhatsApp, alcune immagini e alcuni video riescono ad aggirare la censura della Repubblica islamica attraverso i sistemi vpn che garantiscono anonimato, privacy e sicurezza.

A TEHERAN è una giornata assolata, l’ottobre di sempre. Per strada, gli ambulanti con il carretto vendono ab-e anar, succo di melograno. A fare di ieri una giornata speciale è stato il rumore dei clacson. In questa quarta settimana di proteste innescate dalla morte di Mahsa Amini in seguito all’arresto da parte della polizia morale mentre si trovava in vacanza nella capitale iraniana, ieri mattina le forze dell’ordine si sono scontrate con i manifestanti.

A gettare benzina sul fuoco sono state le dichiarazioni della magistratura di Teheran, secondo cui Mahsa Amini non sarebbe morta per le percosse in commissariato, bensì per le conseguenze di un’operazione per tumore al cervello quand’era bambina. Nel caso di due adolescenti, la versione ufficiale delle autorità indica come causa del decesso «la caduta da un edificio».

Dal 16 settembre, sono almeno 92 le persone uccise. Prive di un leader e di un coordinamento, le contestazioni in corso in Iran sono le più importanti, per portata e significato, dalla rivoluzione del 1979.

Eppure, queste due caratteristiche – la mancanza di leader e di coordinamento – rappresentano punti di forza e non di debolezza: oggi la repressione non può decapitare le proteste, com’era avvenuto con il movimento verde di opposizione del 2009; e il blocco di internet non impedisce ai dimostranti di fare passaparola e scendere in strada.

E infatti, nella giornata di ieri gli scioperi hanno interessato numerose città, tra cui Saghez (città natale di Mahsa Amini), Sanandaj e Divandarreh –nella provincia iraniana del Kurdistan – e Mahabad, nella provincia dell’Azerbaigian occidentale.

A SANANDAJ vi sono stati scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine, e si sono sentiti colpi di arma da fuoco. Proteste anche a Karaj, vicino a Teheran. Gli studenti hanno manifestato a Isfahan e Tabriz. In prima linea, ancora ragazze e donne. A Saghez le liceali hanno marciato lungo la strada agitando i foulard sopra la testa e scandendo lo slogan «Donna, vita, libertà».

A Teheran, il presidente Ebrahim Raisi ha tenuto un discorso all’università femminile al-Zahra in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico, spiegando che le studentesse «non faranno gli interessi del nemico».

La tesi dei vertici della Repubblica islamica, secondo cui le proteste sarebbero fomentate da potenze straniere e in particolare dagli Stati uniti. Mentre parlava il presidente iraniano, nello stesso campus giovani donne gridavano «Morte all’oppressore».

TRA TAGLI DI CIOCCHE di capelli e sit-in, in Europa continuano le dimostrazioni di solidarietà nei confronti delle proteste in Iran. Restano intanto in carcere i nove europei arrestati la settimana scorsa, tra cui la trentenne romana Alessia Piperno.

Gli altri ostaggi provengono da Francia, Germania, Polonia e Paesi Bassi. Venerdì le autorità di Parigi hanno alzato il livello di rischio e chiesto ai cittadini francesi – anche a coloro che hanno doppia nazionalità, francese e iraniana – di lasciare il territorio della Repubblica islamica il più velocemente possibile perché «c’è ilpericolo di detenzioni arbitrarie».

Il governo olandese ha chiesto ai suoi cittadini di evitare di recarsi in Iran e comunque di andarsene appena possibile, in sicurezza, perché in molte città iraniane sono in corso proteste e possono verificarsi violenze, anche da parte delle forze dell’ordine.

Al momento la Farnesina si limita a sconsigliare i viaggi non essenziali, e quindi quelli per turismo.