No endorsement, Bezos spiega e ci mette la firma
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Internazionale

No endorsement, Bezos spiega e ci mette la firma

Elettorale Americana Effetto collaterale del mancato endorsement: in tre giorni, fino a lunedì sera, almeno 200mila sottoscrittori del Washington Post avevano disdetto l’abbonamento
Pubblicato un giorno faEdizione del 30 ottobre 2024

Nella guerra degli endorsement, alla fine deve scendere in campo il peso massimo. L’ipermiliardario Jeff Bezos ha pubblicato sul suo Washington Post un editoriale che finalmente spiega perché ha bloccato l’editoriale che avrebbe dovuto appoggiare Harris contro Trump nella corsa alla Casa Bianca, e perché l’ha fatto proprio lo stesso giorno in cui il chief executive della sempre sua Blue Origin (industria aerospaziale, grandi commesse pubbliche) avrebbe incontrato Donald Trump.

E la verità del signore di Amazon è semplice: è stato un caso. «Non c’è alcuna connessione tra l’incontro e la nostra decisione sull’endorsement presidenziale, e ogni diversa ipotesi è falsa». Il motivo della sparizione di un classico dell’editoria politica americana è un altro: l’ho fatto – argomenta Bezos – per il bene del nostro grande giornale, per non apparire più biased, parziale, perché «nei sondaggi annuali sulla fiducia del pubblico i giornalisti e i media scivolano sempre più in basso (…) e quest’anno sono finiti persino sotto il Congresso». E che gli americani si fidino meno dei media che del parlamento, per un giornale in effetti è un problema.

La massima firma possibile del Washington Post si è probabilmente spesa per un curioso effetto collaterale del mancato endorsement: in tre giorni, fino a lunedì sera, almeno 200mila sottoscrittori del Post avevano disdetto l’abbonamento. Una fuga di massa, quasi il 10% dei due milioni e rotti di abbonati della gloriosa testata che rivelò il Watergate sono evaporati nel giro di poche ore – ed è interessante che a riferire la cifra di abbonamenti bruciati sia stata National Public Radio: il grande network pubblico di oltre mille stazioni radio, nato con un atto del Congresso e strettamente no profit (quindi con le pezze al sedere e l’impossibilità tecnica di fare endorsement) che fa le pulci all’editore più ricco del mondo.

Lo stesso editoriale di Bezos ha meritato oltre 20mila commenti, tutti diligentemente pubblicati online, quasi tutti furiosi e alcuni al limite dell’irriferibile, con coloriti accenni al cesso Maga in cui avrebbe fatto scendere la libertà di stampa, e una annunciata carneficina di sottoscrizioni anche per Amazon Prime, che non c’entra nulla ma è pur sempre la principale fabbrica di miliardi di Bezos. E gli è andata bene: al direttore del Post William Lewis, che siegava come gli endorsement fossero nati solo con la presidenza Carter, di commenti ne sono arrivati 35mila. E decisamente meno riferibili. (e.ne.)

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