Quello di ieri a Bruxelles tra i ministri dell’Interno dei 27 avrebbe dovuto essere il vertice della riconciliazione, buono per ricucire lo strappo creato tra Italia e Francia dal caso Ocean Viking. O almeno così speravano a palazzo Chigi e al Viminale. Invece, le prime parole che il francese Gerald Darmanin pronuncia appena arrivato a Bruxelles bastano per capire che per Parigi l’incidente non solo non è chiuso ma che la Francia non ha alcuna intenzione di fare marcia indietro su principi che considera irrinunciabili: «Se l’Italia non prende le barche e non accetta la legge del mare e del porto sicuro – chiarisce il ministro – non c’è alcun motivo per cui un Paese che debba fare i ricollocamenti, sia Francia o Germania, sia lo stesso che accoglie le imbarcazioni».

Vuol dire che Parigi non rientrerà nella piattaforma europea sui ricollocamenti se il governo italiano dovesse continuare a negare l’attracco alle navi delle ong. Darmanin va anche oltre spiegando che la Francia «è pronta a fare da sola», annuncio che potrebbe significare accoglienza solo per i migranti che si trovano a bordo delle navi alle quali verrà permesso di attraccare nei porti francesi.

Che il vertice di ieri non avrebbe portato a nulla di concreto si sapeva. Nei giorni scorsi fonti dell’Ue avevano messo le mani avanti parlando di un incontro interlocutorio in vista del Consiglio europeo di dicembre. L’affondo francese ha però gelato le speranze italiane di arrivare a soluzioni rapide e comuni sulla gestione degli arrivi dei migranti, salvo un ripensamento della linea dura adottata finora da Roma. Unici punti sui quali ci sarebbe stata unanimità tra i ministri riguardano la necessità di stanziare finanziamenti Ue da destinare ai Paesi di origine e di transito dei migranti per frenare le partenze e un maggiore impegno nei rimpatri. Due interventi chiesti dall’Italia ma presenti anche nel Piano in venti punti messo a punto dalla Commissione Ue e che permettono al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi di dirsi soddisfatto: «Ci sono state discussioni convergenti da parte di tutti i partecipanti e apprezzamento delle linee fondamentali», dice al termine delle riunione. Un’altra apertura, seppure parziale, arriva anche sulla possibilità di scrivere u codice di condotta per le navi umanitarie. «Le ong non sono un argomento tabù, non sono qualcosa di cui non si dovrebbe parlare», dice il vicepresidente della Commissione Margaritis Schinas. «Penso anche che le operazioni nel Mediterraneo e altrove non possano essere gestite in una situazione da Far West, dove tutti fanno qualsiasi cosa».

Ma questo è tutto e per si più si tratta di impegni che per ora esistono solo sulla carta e che richiedono tempo per essere realizzati. Nulla, invece per quanto riguarda gli interventi sui quali l’Italia premeva maggiormente: niente ricollocamenti obbligatori in Europa, tanto più ora che i Paesi dell’Est temono una nuova ondata di profughi dall’Ucraina. Bocciata anche la proposta di aprire hotspot in Africa dove esaminare le richieste di asilo: «La Commissione precedente ha provato questo metodo e non ha funzionato. Non vedo perché dovrebbe funzionare ora», ha tagliato corto Schinas. Più duro lo spagnolo Fernando Grande-Marlaska per il quale la proposta «potrebbe portare a una rinuncia ai nostri obblighi di diritto internazionale e umanitario». «Non c’è alternativa, né umanitaria né legale – ha aggiunto -. Il diritto internazionale del mare deve essere rispettato e noi non ci sottrarremo alle nostre responsabilità».

Resta da vedere cosa accadrà quando la prossima nave di una ong carica di migranti si avvicinerà alle coste italiane. «Non si è parlato dei casi singoli, non è questo il contesto», ha risposto Piantedosi a chi gli poneva la domanda. Intanto dopo il Piano per il mediterraneo, la Commissione è al lavoro per un altro piano riguardante questa volta la rotta balcanica da presentare al vertice tra Ue e leader balcanici dl 6 dicembre a Tirana.