Niger, con il golpe cresce il jihadismo e lo Stato islamico del Sahel
Africa L'Algeria vuole il dialogo, la Francia è interventista. Il rischio è una «guerra totale» anche con Burkina Faso e Mali
Africa L'Algeria vuole il dialogo, la Francia è interventista. Il rischio è una «guerra totale» anche con Burkina Faso e Mali
In questi giorni una calma apparente è tornata per le strade di Niamey, nonostante le voci relative ad un imminente attacco da parte della Comunità Economica dell’Africa occidentale (Cedeao) che ha stabilito «la data e l’impegno dei diversi paesi per l’intervento militare», rigettando una «transizione di tre anni» – proposta dal nuovo uomo forte del paese, il generale Tiani – giudicata come una «provocazione» dall’organizzazione regionale.
OSTILE a qualsiasi intervento armato in Niger, l’Algeria – che martedì ha vietato alla Francia il proprio spazio aereo per un eventuale attacco i – prosegue i suoi sforzi di mediazione dopo una serie di colloqui con le diplomazie di Nigeria, Benin e Ghana, oltre che con la giunta militare. «Invitiamo tutte le parti a perseguire la via del dialogo – ha affermato il ministro degli Esteri algerino, Ahmed Attaf – perché un intervento di forza avrebbe conseguenze disastrose per tutti i paesi dell’area». Le possibilità di un intervento militare della Cedeao sembrano comunque ancora poco concrete e vedono divisi internamente anche i paesi più interventisti (Nigeria e Ghana) oltre alle differenti posizioni dei paesi occidentali.
Se la Francia resta ferma sulla sua posizione intransigente – forse perché vede ormai compromessi i suoi interessi geopolitici e la sua presenza nel paese con la richiesta di espulsione del suo ambasciatore, rifiutata da Parigi – la diplomazia statunitense ha mostrato maggiore disponibilità per «una soluzione diplomatica di transizione», come indicato anche dalla nuova ambasciatrice americana Kathleen FitzGibbon. Quello che preoccupa la comunità internazionale, infatti, è il pericolo di «una guerra totale» – con Burkina Faso e Mali al fianco del Niger – che destabilizzerebbe tutta l’area, oltre alla «crescente popolarità dei golpisti nel paese», con l’arruolamento di centinaia di giovani volontari per vigilare su una possibile incursione a Niamey che, secondo la giunta militare, «non sarà una passeggiata per nessuno».
IN SECONDO LUOGO, numerosi analisti sostengono che qualsiasi azione di forza in Niger favorirebbe i gruppi jihadisti presenti nell’area – il Gruppo di Sostegno all’Islam e ai Musulmani (Gsim), ramo qaedista nel Sahel, ma soprattutto lo Stato Islamico del Gran Sahara (Eigs) – che stanno già approfittando del golpe per espandere il loro territorio di influenza.
Non sono casuali le immagini dei primi di agosto che ritraggono i miliziani jihadisti giurare fedeltà al nuovo califfo Abu Hafs al-Hashimi per la creazione della nuova provincia dello Stato Islamico del Sahel che includerebbe un vasto territorio nella famigerata regione dei “3 confini” (Mali, Burkina Faso e Niger), facendola di fatto diventare una delle più vaste e ricche, in termini di risorse e combattenti, dopo le recenti conquiste in Mali (Ménaka insieme al blocco della città di Timbuktu), in Burkina Faso (Dori) ed in Niger. Nelle ultime settimane sono esponenzialmente aumentati gli attacchi contro militari e civili nigerini nella parte occidentale del paese (Sanam, Koutogou, Boni) – almeno 50 civili e 40 militari uccisi – con numerosi scontri anche tra le due fazioni jihadiste in lotta per la conquista di nuovi territori dopo il vuoto creato dal golpe.
«L’APERTURA del corridoio nigerino verso la Nigeria, il golfo di Guinea ed il lago Ciad rafforzerebbe lo Stato islamico – ha detto recentemente a France24 l’esperto di jihadismo Wassim Nasr – se la diga del Niger cadesse, si aprirebbe la strada per l’unificazione con la provincia nigeriana del più grande gruppo nel continente (Iswap – Stato Islamico dell’Africa occidentale) creando i presupposti per la creazione di un califfato con le stesse caratteristiche di quanto avvenuto in Siria e Iraq, come potenza economica e militare».
Poiché un intervento militare per ripristinare la democrazia in Niger è improbabile, la diplomazia resterebbe l’unica soluzione. L’opzione diplomatica più probabile per la Cedeao – con il benestare di numerosi paesi occidentali – sarebbe quella di negoziare «il più breve periodo di transizione con la giunta militare» e continuare con le sanzioni economiche.
Sanzioni che stanno pesantemente colpendo una popolazione già «allo stremo», comedichiarato dal rappresentante Onu per il Sahel, Leonardo Santos Simão, che coinvolge anche «migranti e profughi presenti nel paese». «Una vera catastrofe umanitaria, visto che nel 2023, prima di questa crisi politica, il Niger contava 4.3 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria, per lo più donne e bambini».
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