Niente brindisi con Scholz, sul patto si tratta ancora
Giorgia Meloni, Olaf Scholz e Emmanuel Macron in un bar di Bruxelles – foto La Stampa/Ansa
Europa

Niente brindisi con Scholz, sul patto si tratta ancora

Stabilità Al vertice se ne parla sottobanco. I rigoristi non si accontentano. I fondi freschi solo per gli aiuti all’Ucraina
Pubblicato 10 mesi faEdizione del 15 dicembre 2023

Meloni non convince Scholz. Scholz non convince Meloni. I due s’incontrano senza appuntamento nella notte tra mercoledì e giovedì, complice la vicinanza del tavolo dove la premier italiana è a cena col presidente francese e quello dove il cancelliere pasteggia con i collaboratori. Inevitabile una ricognizione informale, a cena finita, tra i tre capi di governo e l’argomento non può che essere quello che formalmente all’ordine del giorno del Consiglio non c’è, il Patto di Stabilità. L’accordo sembra a un passo. Resta in sospeso solo una voce, il rientro sul deficit. Sullo 0,5% ogni anno non ci sono discussioni. La flessibilità per tre anni, dal 2025 al 2027, è ancora in forse perché i Paesi più rigoristi puntano i piedi anche se i quattro Paesi maggiori sono invece concordi: in quei tre anni si terrà conto degli interessi sul debito, in particolare quelli derivati dalle spese strategiche ma non solo. Misura essenziale anche perché in seguito alla stretta sui tassi della Bce gli interessi sui debiti contratti per il Pnrr si sono impennati e nessuno ne ha contratti più dell’Italia: una sberla da 5 miliardi all’anno.

ALL’ITALIA non basta e neppure alla Francia. Vogliono rendere la fase transitoria permanente. L’intesa già raggiunta dai 4 è un passo importante, ha detto in aula Meloni, soprattutto perché riconosce la validità della argomentazione italiana: non ci si possono dare obiettivi strategici molto ambiziosi, come il Green deal o la digitalizzazione, e poi mettere i singoli Paesi in condizione di non poterli raggiungere non avendo più facoltà di investire. Se la logica è valida per un triennio, perché non applicarla sempre? Perché ci si mette di mezzo la politica e tanto più con le elezioni europee dietro l’angolo. Scholz non può cedere perché entrerebbe in conflitto frontale col ministro delle Finanze, il liberale Lindner. Lindner non si lascia ammorbidire anche, forse soprattutto, perché il suo partito liberale rischia di brutto alle prossime elezioni europee e mollare sul deficit significherebbe consegnare un’arma possente a una AfD che già galoppa. Insomma, pur se in un clima disteso e cordiale, Scholz non si piega. Ma neppure riesce a strappare all’omologa italiana l’impegno a ratificare comunque il Patto.

L’EVENTUALITÀ che, senza ulteriori ammorbidimenti del rigore sul deficit, l’Italia punti i piedi e blocchi la riforma è reale e la presidente italiana non lo nasconde.
Anche se nel vertice di Patto non si parla, i soldi sono una delle questioni centrali lo stesso, sotto la voce “bilancio europeo”. Se quel braccio di ferro va interpretato come quadro realistico dei rapporti all’interno dell’Unione, l’Italia ha poco da essere ottimista. La proposta iniziale della Commissione prevedeva un incremento di bilancio robusto, 66 miliardi. Scremata la cospicua parte per l’Ucraina, 12,5 miliardi dovevano andare al contrasto dell’immigrazione illegale, e si sa quanto su quella carta abbia scommesso Giorgia Meloni, altri 10 dovevano sostenere le aziende nei guai. I frugali non hanno sentito ragione.

La proposta messa sul tavolo da Michel in apertura di vertice è pertanto ben più modesta. La somma è stata decurtata di due terzi, sino a 22 miliardi. Per l’immigrazione resterebbe una quota sostanziosa, 8,5 miliardi che potrebbero acquisire un ulteriore miliardo. I fondi per le aziende invece sono stati abbattuti, portati a 1,5 miliardi da usare peraltro solo per la Difesa.

IL FRONTE NORDICO dei rigoristi non si accontenta. Accetta l’iniezione di fresh money, i “fondi freschi” solo per gli aiuti all’Ucraina, voce sulla quale peraltro è in corso il solito braccio di ferro con Orbàn. Per il resto niente. La discussione inizia e si blocca a stretto giro. Mediatori e sherpa cercano una soluzione e Michel, ottimista, presagisce in serata che verrà trovata «nelle prossime ore».

È PROBABILE che le cose vadano davvero così ma la querelle chiarisce in modo sin troppo eloquente qual è la situazione. I rigoristi hanno già ottenuto quasi tutto quel che chiedevano nelle nuove regole di bilancio, sia sul debito che sul deficit, sino a snaturare e quasi a rovesciare lo spirito della proposta iniziale della Commissione. Però, proprio come nella partita sul bilancio, non si accontentano. Vogliono tutto.

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