Nicolas Floc’h e la neve del mare profondo
Da «Deep Sea» di Nicolas Floc’h
Alias Domenica

Nicolas Floc’h e la neve del mare profondo

Cristalli liquidi «Deep Sea», una serie fotografica pubblicata nel libro omonimo
Pubblicato più di un anno faEdizione del 7 maggio 2023

Siamo nel 2021 in Bretagna, nel golfo di Gascogne, in particolare nel canyon di Lampaul, 300 km a largo di Brest, a bordo di un’imbarcazione. A incuriosirmi non è la rotta ma la discesa del robot sottomarino HROV Ariane nelle profondità dell’oceano, tra -700 e -1800 metri, per studiare l’ecologia dei coralli d’acqua fredda. La natura di questa immersione è prettamente scientifica, parte della campagna oceanografica Chereef che s’interroga sul futuro dei litorali e del mare – niente a che fare insomma con una sceneggiatura di James Cameron! Un dettaglio tradisce tuttavia un’intenzione artistica: sul robot è applicata una macchina fotografica che, sfruttando l’illuminazione artificiale, realizza alcuni scatti del milieu liquido. Usa il grandangolo e non la focale stretta degli scatti prodotti parallelamente dagli scienziati.

Deep Sea è il nome della serie fotografica di Nicolas Floc’h pubblicata nel libro omonimo (Roma publications 2022), parte del progetto sui Paysages productifs cominciato nel 2015 con cui l’artista-fotografo vuole «mostrare l’estensione del visibile per come si offre allo sguardo». Un’iniziativa che rispecchia bene la tendenza sempre più diffusa di coinvolgere artisti nelle spedizioni scientifiche, segno che il loro contributo non è più percepito come limitato agli spazi deputati d’esposizione.

Dato il contesto, sfogliando Deep Sea resto interdetto: le immagini sono infatti lontane dal paesaggio sottomarino, qualsiasi sia l’idea che ne abbiamo, visto che nessuno lo ha mai esplorato e resta a oggi la parte più sconosciuta del nostro pianeta. A seconda dei casi, fanno pensare a visioni lunari per i colori (bianco, nero e grigio) o per l’illuminazione, la cui fonte resta nascosta ma che è chiaramente artificiale se non extra-terrestre. O a immagini del sottosuolo, di quelle prodotte dagli speleologi in angoli reconditi della Terra. Difficile, in ogni caso, in mancanza di una scala, misurare le dimensioni delle conformazioni geologiche che paiono modellate dal vento.

Solo in un secondo momento mi accorgo che l’atmosfera è carica di una certa densità difficile da associare all’elemento aereo. Il nero non è quello delle viscere della Terra né quello dell’universo cosmico ma quello della profondità dell’oceano. Culturalmente associata al blu o al verde, l’acqua è anche nera; e i fondi dell’oceano sono teatri di eventi geologici, dove va in scena la tettonica delle placche, la biografia delle terre emerse o dell’oceano Atlantico lunga 120 milioni di anni. Finché, perso in tali pensieri, nell’abisso oscuro appare un pesce, non un branco ma un singolo specimen, una forma di vita che solo tornando indietro mi accorgo non essere la prima in assoluto ma la prima che riconosco. Facile prendere le particelle bianche fluttuanti e non meglio identificate per dei fenomeni atmosferici inter-stellari, laddove tale «neve marina», come la chiama Floc’h, mostra in realtà lo zooplancton. In primo piano, bianco traslucido, con la lunga coda, l’ombra proiettata al suolo, il pesce Chimera passa indisturbato davanti l’obiettivo. Secondo la didascalia siamo a -815 metri.

Le fotografie di Floc’h mostrano un milieu naturale, mai abitato e mai toccato dall’umanità ma pullulante di vita marina. Ma dimostrano anche che, per vedere qualcosa attraverso tanta oscurità, il ricorso alla tecnologia è essenziale. In fondo quest’esplorazione comandata da un equipaggio umano in superficie è realizzata dal robot e solo grazie a tale apparecchiatura complessa le profondità marine si rendono visibili. HROV Ariane è un occhio potenziato, lo sviluppo sofisticato della Batisfera, una sfera che resiste alla pressione, simile a un globo oculare. Nessuna tecnologia può tuttavia scalfire l’impressione che abbiamo messo piede, almeno con gli occhi, su un pianeta alieno.

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