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Nicaragua, arrestati da Natale 11 preti: e il papa li cita nell’Angelus

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America Latina Oltre ai due prelati ammontano così a 14 i preti detenuti (insieme ad alcuni seminaristi). Senza contare i 12 presbiteri che nell’ottobre scorso erano stati spediti a forza a Roma. E le decine e decine che sono riparati all’estero o cui è stato proibito di far ritorno nel loro paese dopo un viaggio all’estero

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 2 gennaio 2024

La persecuzione religiosa in Nicaragua ha registrato un’incredibile impennata in questi ultimissimi giorni con la detenzione di ben 11 sacerdoti. Tutto è cominciato alla vigilia di Natale con l’arresto del vescovo di Siuna (Costa Atlantica) monsignor Isidoro Mora il quale si era permesso nell’omelia di pregare per il suo omologo di Matagalpa Rolando Alvarez, in carcere dal febbraio scorso con una condanna a 26 anni per “cospirazione e tradimento della patria”. Alvarez, mentre era già ai domiciliari, si era rifiutato di abbandonare il paese insieme ai 222 detenuti politici che vennero allora deportati e privati della nazionalità nicaraguense.

Oltre ai due prelati ammontano così a 14 i preti detenuti (insieme ad alcuni seminaristi). Senza contare i 12 presbiteri che nell’ottobre scorso erano stati spediti a forza a Roma. E le decine e decine che sono riparati all’estero o cui è stato proibito di far ritorno nel loro paese dopo un viaggio all’estero.

Ma se si rimonta all’indomani della rivolta popolare del 2018 repressa nel sangue dal regime, in questi cinque anni sono stati espulsi in totale 220 religiosi, a cominciare dalle monache della congregazione di Madre Teresa di Calcutta. Così come sono state chiuse tutte le radio e il canale tv cattolico. Fino a proibire processioni, messe per i morti nei cimiteri e feste religiose di varia natura. Per arrivare nel settembre scorso alla clamorosa confisca dell’Università centroamericana dei gesuiti e la messa fuori legge della Compagnia di Gesù.

L’altro giorno è finito in galera pure il vicario generale della diocesi di Managua, monsignor Carlos Aviles, che nel passato aveva criticato il presidente Daniel Ortega per accanirsi contro la chiesa. Mancherebbe ora solamente il cardinale capitalino, Leopoldo Brenes, la cui abitazione è comunque permanentemente sorvegliata dalla polizia da oltre un anno.

La regista di questo imperversante delirio è la copresidente Rosario Murillo, moglie del presidente Daniel Ortega. Che l’altro giorno, nel suo quotidiano messaggio radiofonico ha definito quei sacerdoti dei «diavoli che parlano di fede con sentimenti diabolici». Salvo poi chiudere come sempre le sue locuzioni inneggiando a «nostro signore iddio».

Papa Francesco ieri, nel suo primo Angelus del 2024, ha espresso la propria «vicinanza nella preghiera» al paese centroamericano «dove vescovi e sacerdoti sono stati privati della libertà», auspicando «un dialogo per superare le difficoltà». Ma dal marzo scorso Ortega e consorte hanno sospeso le relazioni diplomatiche con la Santa Sede, dopo averne cacciato il nunzio apostolico l’anno prima.

Mentre l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani ha stigmatizzato il Nicaragua che «si allontana dallo stato di diritto violando le libertà fondamentali» nel corso di una deriva che ha visto l’incarceramento di ulteriori 120 detenuti politici, mentre si calcola che circa 600mila nicaraguensi (il 10% dell’intera popolazione) abbiano già abbandonato il paese.

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