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Nelle sue traduzioni rivive l’opposizione estetica tedesca

Nelle sue traduzioni rivive l’opposizione estetica tedescaFalsa «Tessera di riconoscimento per ufficiali» della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale intestata a Ugo Giuseppe Stille

Questione di stile La trasparenza che dona ai versi di Rilke e di Trakl e alla Kätchen di Kleist è un compromesso sublime fra luce e tenebra, oscurità delle immagini e nitore delle scelte stilistiche

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 1 dicembre 2023

Nella ragione degli intellettuali italiani, neanche il nazionalsocialismo e i suoi orrori riuscirono a cancellare la coscienza dell’importanza e della dimensione universale, civile e anche etica, della letteratura e del pensiero che gli scrittori tedeschi avevano riversato sull’Europa, a partire dalla fine del XIX secolo.

Giaime Pintor era arrivato a quegli scrittori prima ancora di iniziare a frequentare il circolo di Lucio Lombardo Radice e per qualche tempo dovette studiare il modo di congiungere i suoi interessi letterari e filosofici a quelli politici; i testimoni lo ricordavano osservatore inizialmente poco partecipe alle discussioni del gruppo dei giovani comunisti romani.

Pintor era ancora legato, intellettualmente, a un’idea europea dell’arte impolitica che dovette, prima di tutto, superare. In quella specie di grande simultaneità che caratterizzò le conquiste della sua vita questo superamento avvenne mentre portava a termine le sue prime traduzioni da Rilke e, poi, da Georg Trakl, i due poeti che più direttamente parlavano alla lirica dell’ermetismo italiano, consacrato movimento proprio fra il 1938 e il 1939 dai saggi di Flora e di Carlo Bo.

La sua ricerca ebbe subito due obbiettivi: il ripudio dell’accademismo e del conformismo estetico favorito dal fascismo ma anche degli accomodamenti al ribasso di un’industria culturale ormai dominante e funzionale alle esigenze di una propaganda che si valeva largamente dei suoi stilemi, messaggi e procedimenti comunicativi semplificati.

Molto presto, dunque, Pintor cominciò a intendere la sua ricerca stilistica, i registri altissimi, la politura raffinata della sua scrittura e anche delle sue traduzioni come opposizione politica. Questo, di sicuro, gli fece sentire affine uno scrittore come Ernst Jünger, nella cui freddezza emotiva e nella cui lingua piana e meditata, dovette riconoscere per qualche tempo un modello. Ne scrisse, infatti, a corredo di alcune traduzioni tratte dalla seconda versione del Cuore avventuroso uscite nel 1940 per «La ruota».
Di Jünger apprezzava soprattutto il «rigore» e la «fermezza di stile» oltre alla «precisione del giudizio critico».

Capiva bene, infatti, che la limpidezza e la classicità della prosa contrastavano intrinsecamente l’esaltazione paraespressionista dei discorsi e delle manifestazioni hitleriane nonché, forse più di ogni altra cosa, l’approssimazione e la rozzezza di quel linguaggio fatto di slogan, abbreviazioni e sigle, che sgretolavano ogni complessità sintattica oscurando la pericolosità dei messaggi politici.

Uno scrittore come Jünger – al cui livello Pintor poneva soltanto Hans Carossa, ignorandone la già avvenuta compromissione col regime – contrastava, con il suo stile, alla mobilitazione e alla militarizzazione della poesia promossa dal nazionalsocialismo; mentre invece il vasto plotone degli allineati produceva scritti chiassosi e deteriori perché – annotava a margine di un convegno weimariano del 1941 – «i cattivi poeti del Reich» erano al tempo stesso, o potevano facilmente diventare, i buoni soldati del Reich».

Queste letture, questi confronti poetici e queste riflessioni critiche permisero a Pintor, già alla fine del 1939, di pervenire alla legittimazione teorica e alla consapevolezza antagonistica del suo stile. Il quale, almeno nelle traduzioni dal tedesco, aveva però preceduto sul piano della prassi le conquiste della riflessione. La difficile trasparenza che Pintor conferisce ai versi di Rilke e di Trakl – per non dire a quelli della bellissima traduzione della Kätchen von Heilbronn dell’amato Heinrich von Kleist – è un compromesso sublime fra luce e tenebra, fra l’oscurità delle immagini e la nitidezza delle scelte lessicali e sintattiche.

C’è una forzatura della traduzione, in uno dei Sonetti a Orfeo rilkiani pubblicati da Einaudi nel 1942, che alla luce di tutto questo non si può leggere come un aggiustamento maldestro o come una trovata inserita per obbligo di metrica. Laddove Rilke scrive a proposito del poeta: «Nie versagt ihm die Stimme am Staube» che equivale grossolanamente a «Mai gli vien meno in polvere la voce» Pintor traduce «Non mai la polvere spegne la pura / voce se l’eco del dio la trascina», costringendosi a un enjambement tanto difficile quanto assente nel testo originale.

La si potrebbe chiamare una soluzione di scomodo. L’enfasi cade però, in questo modo, proprio sull’ultima parola del primo verso e su quella purezza che Pintor avoca alla propria lingua ricavandola per forza di interpretazione dalla poesia rilkiana. Fra l’altro, il medesimo sonetto legittima la scelta del suo traduttore nei tre versi finali, dove l’evocazione del potere trasfigurante dell’opera del poeta e del suo inesauribile messaggio acquista enorme potenza in tempo di stermini: «Perché egli è uno dei messi più forti / che ancora oltre le soglie dei morti / levano coppe di frutti gloriosi».

È la purezza dello stile a compiere il prodigio di varcare l’età delle guerre. Pintor è stato, nel suo lavoro di traduttore e di germanista, colui che più di ogni altro ha restituito attualità a quell’opposizione estetica del fine secolo tedesco che aveva generato le poesie dei suoi autori, e pure, già prima, i versi dei romantici e i drammi dell’amato Kleist.

Quell’opposizione Pintor la ritrovava in pochissimi suoi contemporanei: in Montale, soprattutto, ai cui versi attribuisce la sua stessa, difficile solitudine nell’imbarbarimento universale delle parole: «Se un mottetto di Montale dovesse servire per la pubblicità – scrive in un saggio del 1941 – credo, morirebbe subito».

Tutto ciò che contrasta l’involgarimento propagandistico e il consumo a buon prezzo del linguaggio condivide la condizione che Pintor chiama «il calmo silenzio della poesia» perché il silenzio è il più eversivo degli atti in epoca di rumori. E del potere rigeneratore di questo silenzio poetico parla una delle più belle liriche di Trakl tradotte, con placida luminosità, da Pintor, in uno dei suoi ultimi tentativi: «Piano cadde da oscuri passi la neve, / nelle ombre degli alberi / levano palpebre tenui gli amanti. // Sempre all’oscuro grido dei marinai / seguono notte e astri; / e i remi battono piano in cadenza. // Presto sui muri caduti in rovina / fioriranno le viole: / così verdeggiano piano le tempie al taciturno».

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