Nella stanza dei cimeli c’erano tanti, tantissimi corpi
Profondo rosso «L’incontro con il Pci era per noi postumo. Eravamo di sinistra, ma scontavamo un gap: loro avevano combattuto il fascismo, a noi era toccato Berlusconi»
Profondo rosso «L’incontro con il Pci era per noi postumo. Eravamo di sinistra, ma scontavamo un gap: loro avevano combattuto il fascismo, a noi era toccato Berlusconi»
«Eravamo all’Osteriola, una sera come tante, a parlare come sempre di politica e di sport, è arrivato Ghigo Forni, sbianché come un linsol, an s’capiva ’na parola du bestemi e tri sfundon. Hanno detto per la radio che c’è stata una disgrazia, a Padova è stato male il segretario del Pci. Luciano va al telefono parla in fretta e mette giù: ’Ragazzi, sta morendo il compagno Berlinguer’». (I funerali di Berlinguer, Modena City Ramblers)
Sono nato nel 1987 e se non fosse stato per i Modena City Ramblers e una città come Bologna, intrisa di decenni di amministrazioni comunali comuniste, probabilmente avrei rischiato di incappare nel Pci solo nei libri di storia o nei documentari Rai. Invece ricordo l’emulazione di quei tempi, gli arrivi a Roma per le grandi manifestazioni contro la riforma Moratti e le guerre per la democrazia «take away» degli Stati Uniti. I ritrovi in «Piazza Esedra», le bandiere rosse e gli striscioni, i treni stipati della Cgil con gli studenti che, pur di aggregarsi, entravano dalle finestre. Il futuro si preparava a una politica fatta sugli schermi del computer, ma noi non ce ne accorgevamo e guardavamo al passato, sognando le masse e le rivoluzioni.
L’incontro con il Pci per noi era incontro postumo, che portava con sé il sapore del mito e il sentimento dell’invidia. Le botteghe oscure, la svolta della Bolognina, le lettere di Gramsci, i comizi di Ingrao. C’era il fascino di termini e momenti che i più grandi masticavano con disinvoltura mentre a noi toccava ascoltare e fingere di conoscere. Eravamo di sinistra, certo, ma scontavamo un gap che ci veniva fatto pagare, e questo generava (e forse genera tuttora) un sentimento di emulazione frustrata. A questo si univa la rabbia per chi aveva permesso che quei tempi finissero. Loro avevano combattuto contro i fascisti veri, a noi toccava Berlusconi.
Durante l’università iniziai a frequentare il circolo del Pd sotto casa. Non fu un tentativo che andò a buon fine, ma ricordo quando una delle custodi più storiche di quel luogo mi portò nella stanza dei «cimeli». 9 mq pieni zeppi di bandiere, coccarde e pagine di giornali. Rimasi ammutolito davanti alle prime pagine dell’Unità che raccontavano lo storico risultato elettorale del 1976 e gli anni in cui il Pci dominava la scena politica nazionale. I grandi caratteri in maiuscolo trasmettevano, anche a distanza di decenni, la svolta politica e culturale che in quegli anni si stava consumando. In quel mausoleo della sinistra notai un aspetto che non dimenticherò mai: i «corpi». Manifestazioni, comizi, comitati elettorali. Non vi era una foto o un’immagine in cui non si percepisse il fattore collettivo di un fenomeno politico che attingeva più forza dalle persone che dai frontman. E poi c’era Berlinguer. Il leader elegante e caparbio. L’ultimo che si era fatto primo ma che continuava a guardare agli ultimi rappresentandone le emozioni, le speranze e i bisogni.
La mia esperienza partitica durò poche settimane, giusto il tempo di vedere Veltroni perdere le politiche. Feci in tempo ad organizzare una serata per i giovani che andò molto bene. Ovviamente la stanza dei cimeli fu motivo personale di vanto in quella che temporaneamente consideravo casa mia. Ma qualcosa non quadrava e mi diedi alla macchia. Anni dopo ci riprovammo con alcuni amici. Cominciammo disegnando una sardina su un pezzo di cartone. Ma questa è un’altra storia…
( 6000 sardine)
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