Di fronte a una chiesa, sul lungo viale Sobornyi di Zaporizhzhia abbiamo incontrato Anatoli Khvorotianov, sindaco di Orichiv. La sua cittadina, sconosciuta ai più, è diventata importante nelle ultime due settimane perché vi si sono trasferiti i soldati impegnati nella controffensiva. Secondo gli analisti militari, proprio nell’area a sud di Orichiv gli ucraini starebbero tentando di sfondare le linee di difesa russe per proseguire verso Melitopol e la costa del Mar Nero.

Come mai si trova qui?

Un mese fa circa in città ha preso il mio posto l’amministrazione militare (segno evidente che il Comando sud ha bisogno del pieno controllo sull’area delle operazioni, ndr) e così ho raggiunto la mia famiglia che era già qui.

Come ha preso il trasferimento?

Sono contento, dopo quest’anno orribile mi riposo un po’. E poi ho ripreso a organizzare delle uscite con mia moglie, mi mancava.

Com’è cambiata la sua città?

All’inizio eravamo nell’attesa di un momento di rottura. Speravamo che qualcosa cambiasse in fretta. Poi la situazione si è fatta stagnante, si ripetevano periodicamente le stesse cose e allora abbiamo iniziato a provare molta rabbia. Ora invece sembra che finalmente qualcosa si stia muovendo. Io non so molto ma leggo le notizie, si vede che la vittoria potrebbe non essere così lontana e si è riaccesa quella speranza, l’attesa di un momento di cambiamento che però non ha eliminato la rabbia che proviamo da mesi. È passato talmente tanto tempo ed è stato talmente intenso che questa rabbia ormai ce la portiamo dentro. Tuttavia mi sembra ancora che a vincere sia la speranza che finora ci ha guidato. Nella pratica Orichiv ha pagato un prezzo molto alto: tantissimi edifici sono distrutti, così come le infrastrutture energetiche e le linee delle telecomunicazioni.

Ciononostante, in quell’area ora sono di stanza i militari che effettuano le incursioni verso la linea del fronte. Lì i reparti si riposano e si preparano per la battaglia, nelle case di campagna saranno probabilmente nascosti i mezzi della controffensiva, anche quelli forniti dall’Occidente. Quanta gente è rimasta in città?

Molto poca, mi dispiace però che ci siano ancora famiglie con bambini che non vogliono andarsene. Soprattutto quelle nei paesini vicino alla linea di contatto. Se potessi li obbligherei, gli toglierei anche i bambini per farli trasferire almeno qui. È un comportamento incosciente, non capisco come si fa a tenere i figli in un contesto così duro. Inoltre a Orichiv ci sono talmente tante munizioni inesplose che anche quando finirà la guerra non è il caso di far tornare i bambini almeno per altri due anni.

Perché lei non se n’è mai voluto andare ma diceva ai suoi concittadini di andarsene?

Io avevo un ruolo che mi imponeva di mantenere la mia presenza in loco. Ma a volte mi sembra che le persone non riescano a capire l’importanza della propria vita e sono troppo legate alle cose materiali. Ora credo che dovrebbero andarsene proprio tutti e lasciare la città in mano ai militari in modo da farli organizzare al meglio per la controffensiva. A volte bisogna fare dei sacrifici per raggiungere l’obiettivo. Orichiv al momento è distrutta ma quando i russi saranno cacciati via sarà sicuramente ricostruita e sarà anche meglio di prima.

Il fatto che i residenti non se ne vogliano andare l’abbiamo ritrovato più volte, soprattutto nell’est del Paese. Secondo lei il senso di appartenenza alla propria casa o alla propria città in alcuni casi è più forte della paura di andare in un posto dove magari non si conosce nessuno e dove non si sa che fine si farà? Condivide questa analisi o crede che sia soltanto a causa dell’ignoranza che queste persone rimangono? Magari alcune di loro aspettano i russi?

Purtroppo ci sono collaborazionisti anche in questa zona. Non serve neanche andare troppo lontano (indica alle nostre spalle, ndr), basta osservare la chiesa qui. Adesso la situazione è un po’ cambiata, si è mascherata sotto il patriarcato di Kiev, ma fino ai primi mesi di guerra chiudevano le messe con «gloria alla Russia». Però è vero ciò che dici: le persone hanno paura di fronte a questa grande incognita rappresentata dal cambiamento radicale delle proprie abitudini, del luogo in cui si vive. La paura dell’ignoto è sicuramente qualcosa che blocca molti. Anche se con gli aiuti delle varie amministrazioni e delle organizzazioni di volontari sia ucraine sia internazionali andarsene dalla propria città è fattibile. È importante riuscire a cambiare il meccanismo dei pensieri, far scattare un interruttore nella testa e decidere di andarsene. Non è giusto mettere sullo stesso piano la materialità con la propria vita perché i tuoi beni li potrai sempre riacquisire ma sopravvivere è più importante. Senza dubbio ci sono molte persone, anche a Orichiv, che hanno meno paura delle bombe che colpiscono quotidianamente piuttosto che del grande punto interrogativo che li aspetterebbe in un’altra città. Però a mio modo di vedere tutto ciò è ingiustificato: bisogna proteggere in primis la propria vita. È ovvio che quando sei costretto ad andare via dal luogo dove hai vissuto tutta la vita, la tua esistenza non sarà più la stessa, soprattutto rispetto a com’era prima della guerra. E infatti la parola chiave è «guerra» e non c’è altro da aggiungere, è la causa di tutto. Siccome c’è la guerra bisogna fare scelte difficili.