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Nella notte Orbán ferma i 50 miliardi per l’Ucraina

Nella notte Orbán ferma i 50 miliardi per l’UcrainaL’incontro prima del Consiglio europeo con Charles Michel, Ursula von der Leyen, Olaf Scholz, Viktor Orbán e Emmanuel Macron – Pm_ViktorOrban

Il Consiglio europeo Non più di un terzo dei cittadini è favorevole all’ingresso nella Ue di Kiev, la metà ha paura

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 16 dicembre 2023

Storico? L’aggettivo è stato ripetuto da più fonti, dai leader di 26 paesi su 27, dagli alti dirigenti delle istituzioni di Bruxelles, anche dagli Usa ieri, per descrivere il Consiglio europeo appena concluso. Quanta euforia per il via libera alla prossima apertura dei negoziati per l’adesione di Ucraina e Moldavia all’Ue

In sella anche la Bosnia nel negoziato che riguarda la futura entrata dei paesi dei Balcani occidentali, oltre alla concessione alla Georgia dello statuto di candidato, una prima tappa del processo. Poi nella notte l’euforia ha subito una doccia fredda con il veto dell’Ungheria al varo di 50 miliardi di finanziamenti all’Ucraina (17 di sovvenzioni, 33 di prestiti), mentre restano in stand by anche i 20 miliardi di aiuti militari (Orbán non è più solo, anche la Germania preferirebbe versamenti bilaterali invece che attraverso la European Peace Faclity). Sui 50 miliardi, dietro Orbán si sono nascosti altri reticenti, sette paesi “frugali” preoccupati delle derive di spesa: i 66 miliardi richiesti dalla Commissione per aumentare il budget pluriennale (2021-27), concepito prima della guerra e senza la consapevolezza dell’entità delle spese per il Covid, sono stati ridotti in un primo tempo a 22,5, poi ancora a 21 miliardi, cercando tagli ai costi e grattando il fondo dei cassetti. Ma anche per questo denaro fresco, bisognerà aspettare un prossimo Consiglio a gennaio.

I GOVERNI FRENANO, perché a sei mesi dalle elezioni europee temono le opinioni pubbliche: vari sondaggi in queste settimane hanno messo in luce uno scetticismo crescente, addirittura un’ostilità, in particolare nella “vecchia Europa”, sui futuri allargamenti. L’opinione più diffusa, anche in Francia e Germania, è che la Ue non dovrebbe consentire l’adesione di nuovi stati in questo momento. Gli argomenti geopolitici a favore dell’allargamento all’Ucraina non sembrano convincere, non più di un terzo dei cittadini è favorevole all’entrata dell’Ucraina, circa la metà è inquieta, teme per l’economia ma anche per la sicurezza.

Agitando la paura, le tesi nazionaliste si diffondono, l’estrema destra pratica l’entrismo (non più exit ma demolizione dall’interno) e potrebbe eleggere fino a un terzo del Parlamento europeo il prossimo giugno. Il Ppe, che pure ha nella sua storia grandi nomi della costruzione europea, segue la corrente (e a livello nazionale si moltiplicano gli accordi con i nazionalisti). I socialisti proponendo un’Europa «sociale, verde, giusta» promettono che faranno «indietreggiare le forze reazionarie in tutta Europa» (Iratxe Garcia, leader S&D). Ma parte della sinistra guarda più ai teatri nazionali che alla Ue.

L’ALLARGAMENTO in vista sarà “storico”, con la prospettiva di 30-35 stati, non prima del 2030 ma soprattutto oltre. La storia della Ue è un percorso di entrate di nuovi membri: 1973 (3), 1981 (1), 1986 (2), 1995 (3), 2004 (10), 2007 (2), 2013 (1), con una sola uscita, la Gran Bretagna nel 2020 e tre processi di adesione falliti: Norvegia, Svizzera e Islanda.

Nel corso degli anni, con i nuovi arrivi, la Comunità europea ribattezzata Ue nel 1993 ha fatto evolvere i trattati. Ai tre “fondatori” (Ceca 1951, Roma 1957, Maastricht 1992) se ne sono aggiunti altri “modificati” (Atto unico 1986, Amsterdam 1997, Nizza, 2001, Lisbona 2007). La finalità della Ue è di riunire tutta l’Europa, la Ceca, primo passo, era nata solo 6 anni dopo la seconda guerra mondiale, l’inizio di un percorso per scongiurare per sempre i conflitti armati nel vecchio continente. Ma con l’aggressione all’Ucraina, la guerra è tornata, anche se il conflitto armato era già presente con le guerre in Jugoslavia tra il 1991 e il 2001.

LA PROSPETTIVA dei prossimi allargamenti impone una revisione dei Trattati, ben al di là di iniziative a latere come la recente Comunità politica europea: già oggi, a 27, gli accordi sono difficili e possono essere impossibili. La riforma interna prevede l’abbandono del voto all’unanimità, che permette i veti nazionali, per un passaggio a un voto a maggioranza generalizzato. Ma in settori come politica estera, difesa, giustizia, affari interni, fisco, allargamenti, budget, armonizzazione sociale e cittadina, la strada sarà ardua, tanto più in un momento di ripresa dei nazionalismi, gli stati non vogliono perdere le proprie prerogative.

NELLA UE, ALCUNE politiche comuni si sono “rinazionalizzate”, a cominciare dalla Pac (la politica agricola comune). Ma tra voto a maggioranza, o a maggioranza qualificata, rafforzata o invertita, la Ue ha già un arsenale di procedure che facilitano il funzionamento delle istituzioni. Corollario indispensabile: un’autonomia finanziaria crescente della Ue, con un aumento delle “risorse proprie”. Sullo sfondo, in alternativa, avanza però anche l’ipotesi di un’Europa à la carte, con adesioni a geometria variabile, cioè un allentamento dei legami e un allontanamento dalla prospettiva federalista, che ha toccato la punta massima con il piano di rilancio NextGenerationEu di 750 miliardi.

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