Era il felice novembre scorso. La guerra in Ucraina era soltanto nella testa di Vladimir Putin e nei moniti di Joe Biden. Il covid perdeva colpi e gli Stati uniti riaprivano ai viaggiatori internazionali. Al quartier generale di Seattle, i dirigenti di Amazon si preparavano a festeggiare un’annata eccezionale: 470 miliardi di dollari di ricavi (100 in più dell’anno prima) e azioni balzate da 41,8 a 64,8 dollari.

Il solo problema sembrava quel molesto sindacato che cercava di insinuarsi nei loro capannoni, ma a Bessemer in Alabama lo avevano sconfitto pochi mesi prima e quell’ordinanza che ingiungeva di ripetere il voto, appena arrivata dal National Labor Relation Board – l’agenzia di governo per le relazioni tra parti sociali – era più che altro un fastidio. Quindi quella riunione di novembre fu su tutt’altro.

PER MIGLIORARE I RAPPORTI tra i lavoratori e allontanare lo spettro sindacale, quel giorno alcuni top executives concordarono il lancio di un social media aziendale, in cui i dipendenti Amazon avrebbero potuto scambiarsi messaggi chiamati shout-out – ringraziamenti – per lavori ben fatti o traguardi superati. Una app come quelle per la ricerca di un partner, inquadrata come un gioco in cui ogni shout-out fa guadagnare una stella e i dipendenti-giocatori fanno la raccolta – e presumibilmente la gara. Ottima idea, decisero, ma stiamo attenti «al lato oscuro dei social media» e vietiamo le oscenità e l’uso di alcuni termini. Ne venne steso un elenco, che è un manuale.

Nella lista nera degli executives di Amazon sono finite parole come sindacato, aumento delle paghe, indennizzi, etica, slealtà, schiavo, padrone, libertà, diversità, ingiustizia, equità, comitato, petizione e alcune altre. Le migliori di tutte sono «gabinetto» e «piantagione».

«GABINETTO» è un’ovvia allusione alle denunce dei turni così serrati che costringevano gli autisti a orinare in bottiglie di plastica restando a bordo del mezzo – e qualche volta a riempire di feci contenitori di fortuna, come le borse per le consegne. Le prime denunce sulla pisciata-in-corsa sono del 2018, prima che il covid chiudesse ogni bagno pubblico d’America, e Amazon ha sempre negato, ma alcune email del servizio logistica datate maggio 2020 impongono ai dirigenti di essere drastici: «È la terza volta in due mesi che troviamo borse piene di feci, per favore siate espliciti e dite agli autisti che NON POSSONO fare la cacca o lasciare bottiglie di urina nelle borse» (maiuscolo nell’originale).

«PIANTAGIONE» è un riferimento a quelle nel sud del paese, celebri per il lavoro schiavo. Curiosamente, cercando «plantation» su Amazon si trova una collezione di costosi rum dei Caraibi affinati da una maison francese nella zona del Cognac: il “Rum Plantation”. L’idea è di un francese che ha studiato nel Minnesota, stato a cui difettano le piantagioni e il loro suono offensivo.

Il vocabolario vietato di Amazon è stato rivelato da The Intercept, una testata online specializzata in fughe di notizie che garantisce tecnologicamente l’anonimato ai suoi informatori, finanziata da un altro titano della web economy, il franco-iranian-americano Pierre Omidyar, l’uomo che ha inventato eBay. The Intercept è particolarmente incline a prendersela con Amazon, dove ci stanno così attenti che pochi minuti dopo la pubblicazione delle parole vietate, un portavoce dell’azienda ha dichiarato che «quell’app è ancora in fase di studio, l’elenco di parole è tutto provvisorio e potrebbe anche non partire mai». La classica negazione che non nega.

IL VOCABOLARIO LIMITATO di Amazon, di fatto, è una neolingua. Proprio quella resa celebre da George Orwell in 1984, immaginata per sostituire le emozioni dell’archeolingua e impoverirla al punto di rendere impossibile formulare pensieri o frasi discordanti dai dettami ufficiali (per Orwell sarebbe uno psicoreato) e condurre l’umanità al felice e decerebrato ocoparlare. Una specialità delle top aziende e della destra americana, un po’ come cambiare «riscaldamento globale» in «cambiamento climatico», o «trivellazioni petrolifere» in «esplorazioni per l’energia» (due grandi successi del linguista repubblicano Mark Luntz).

Da quel novembre, comunque, i dipendenti Amazon non hanno certo frenato la lingua. Come è noto, a Staten Island (New York) i lavoratori hanno votato per formare un sindacato indipendente, il primo sindacato di tutta Amazon. Il presidente della nuovissima Amazon Labor Union, Chris Small, ha detto ieri che «ci hanno contattato almeno 100 sedi Amazon, da tutti i cinquanta stati americani e anche dall’estero», per avere consigli.

E A BESSEMER il voto è stato ripetuto, l’azienda ha vinto di nuovo ma con un margine più stretto (120 voti, 450 schede ancora contestate) e in un clima così venefico che il sindacato – quello ufficiale stavolta – due giorni fa ha nuovamente fatto ricorso.