Nella Bolivia dopo Evo l’inclusione fa la forza. «E ora tutti con il Mas»
Intervista La situazione nel paese sudamericano raccontata dall’ex guerrigliero che torna nel partito dell'esiliato Morales per «fronte comune contro il governo neofascista dell'autoproclamata Jeanine Añez». Che si è rivelato incapace tra l'altro di gestire l'emergenza sanitaria del coronavirus
Intervista La situazione nel paese sudamericano raccontata dall’ex guerrigliero che torna nel partito dell'esiliato Morales per «fronte comune contro il governo neofascista dell'autoproclamata Jeanine Añez». Che si è rivelato incapace tra l'altro di gestire l'emergenza sanitaria del coronavirus
Dopo il colpo di stato di ottobre che ha costretto alle dimissioni e poi alla fuga il presidente Evo Morales, l’ex guerrigliero Osvaldo “Chato” Peredo Leigue ha annunciato il suo ritorno nel Mas «per fare fronte comune contro il governo neofascista dell’autoproclamata Jeanine Añez». Nel 1997 Peredo fu tra i fondatori, a fianco di Evo Morales, del Movimiento al Socialismo, tra le cui file nel 2006 venne eletto consigliere nella città di Santa Cruz de la Sierra.
Lo abbiamo intervistato per chiedergli che cosa sta succedendo nel paese con l’aggravarsi dell’emergenza sanitaria e in vista delle prossime elezioni generali che si terranno il 6 settembre, secondo quanto annunciato dal presidente dell’autorità elettorale, Salvador Romero, a seguito di un accordo tra le parti.
Il Gruppo di Puebla ha dichiarato infondate le accuse di brogli elettorali nelle elezioni tenutesi in Bolivia il 20 ottobre 2019, in base a degli studi dell’Università della Pennsylvania e dell’Università di Tulane, citati dal New York Times, che assicurano che l’Organizzazione degli Stati Americani (Osa) non ha fornito nessuna prova attendibile e ha diffuso una «dichiarazione affrettata e intenzionale». Che riflessi possono avere queste conclusioni in vista delle prossime elezioni?
Al punto in cui siamo arrivati, il risultato di queste indagini, come di altre, che confermano la regolarità delle precedenti elezioni, non assume più una grande rilevanza in vista delle prossime elezioni. In generale, la politica boliviana si caratterizza per la scarsa influenza che hanno le conclusioni degli Organismi internazionali sulle valutazioni e le scelte di qualsivoglia contingente di votanti. A questo bisogna aggiungere che in Bolivia, rispetto a molti altri paesi latinoamericani, esiste una diversa lettura dei rapporti con le varie Entità e Organismi internazionali. Per questo non si può parlare di un riflesso politico diretto di questi risultati sulle prossime elezioni.
L’emergenza sanitaria ha colpito la Bolivia nel mezzo di una grave crisi politica e istituzionale. Uno scandalo per l’acquisto di respiratori inadeguati per milioni di dollari ha coinvolto il Ministro della salute ed alti esponenti della compagine governativa. Come sta affrontando l’emergenza sanitaria il governo de facto?
Il governo dell’autoproclamata Jeanine Añez si è dimostrato da subito incapace di affrontare l’emergenza sanitaria e totalmente inefficiente nella gestione di specifici programmi di salute pubblica. In questo momento il sistema sanitario si trova praticamente al collasso a causa del corona virus e in molte parti del paese gli ospedali non possono più ricevere malati. Questa palese debolezza nella gestione dell’emergenza, unitamente ai gravi scandali di corruzione intercorsi, avrà sicuramente un impatto molto forte sul piano elettorale, giacché si è trattato di un atto diretto di malgoverno, reso ancor più evidente dall’incapacità del governo di transizione di fornire risposte e dati precisi in merito all’emergenza. La stessa presidenta – prima di risultare anch’essa positiva al corona virus – interrogata su un tema tanto complesso, nel pieno dell’emergenza sanitaria, ha lasciato che fosse il presidente del senato a rispondere al posto suo.
In questo periodo, anche durante il regime di quarantena, ci sono stati importanti mobilitazioni e blocchi stradali in tutto il paese. Disordini significativi si sono verificati anche a Cochabamba che in un primo momento era stata una delle città più attive nelle proteste contro la rielezione di Evo Morales. Come si spiega questa traiettoria? Che ruolo sta giocando il Mas nelle mobilitazioni?
Il ruolo del Mas nelle mobilitazioni è stato sottolineato più dalla stampa internazionale che dagli eventi stessi. Il Mas, nonostante sia il più grande partito in Bolivia, non ha avuto l’influenza che ci si immagina dall’estero. In realtà, nel contesto specifico Boliviano, le organizzazioni politiche hanno un ruolo molto limitato se confrontato con il ruolo dei partiti politici dei paesi vicini. Questo molto spesso non lo capiscono neanche i dirigenti del partito. Ed è proprio per questa mancanza di comprensione che nel Mas è successo quello che abbiamo visto dopo la sconfitta nel referendum sulla riforma costituzionale: quando il popolo ha detto no alla ricandidatura di Evo si è insistito comunque con la sua ricandidatura, commettendo un errore catastrofico.
Lei a marzo, dopo alcuni anni di distanza, ha annunciato il suo rientro nelle file del Mas e ha contemporaneamente invitato tutti a “unire le forze contro il governo neofascista”. Rispetto alla nuova situazione – con Evo Morales in esilio in Argentina – che cosa si richiede in termini di riorganizzazione e di rinnovamento delle forze della sinistra, del Mas, per cercare di rialzare la testa in vista delle elezioni?
Nello spettro politico boliviano il Mas continua ad essere l’opzione migliore. Io non ho mai preso le distanze dal Mas, non mi sono mai allontanato dalla linea politica che avevamo tracciato. Nel processo di cambiamento il più grande risultato in ambito sociale, economico, politico, raggiunto in tutte le aree della vita del paese, è stato senza dubbio quello dell’inclusione della grande maggioranza del popolo boliviano. Un’inclusione che non è stata solamente formale, ma che concretamente si è realizzata attraverso le organizzazioni sociali, attraverso i sindacati, attraverso tutte le istanze politiche e sociali del paese. Il più grande errore, lo ripeto, fu quello di non avere ascoltato il messaggio chiaro e netto uscito dall’atto referendario del 21 febbraio 2016. Non c’era assolutamente bisogno di quella forzatura. Come abbiamo visto dai risultati delle ultime elezioni, il Mas avrebbe vinto in ogni caso con un amplio margine, anche presentando un nuovo candidato. Evo ormai si trova praticamente in esilio e bisogna in tutti i modi proseguire la lotta, legalmente o illegalmente, perché se te lo impediscono devi comunque trovare il modo di andare avanti. Io personalmente non ho mai messo in discussione la mia appartenenza al Mas, ma ho detto un’altra cosa: «Uniamoci nel Mas e che ritorni sul cammino che non avrebbe mai dovuto abbandonare».
Non è stata unanime la decisione di puntare sull’ex ministro dell’Economia Luis Arce Catacora come candidato presidenziale alle prossime elezioni, relegando l’ex ministro degli Esteri David Choquehuanca al ruolo di vicepresidente. Si sta segnando una differenza rispetto alla deriva verticistica che negli ultimi anni aveva trovato forti critiche anche all’interno del Mas?
Credo che nessuno dei potenziali candidati della destra alle prossime elezioni possa eguagliare la coppia di candidati del Mas, al di là dell’ordine in cui si presenteranno. Potremmo anche invertire il rapporto presentando David Choquehuanca presidente e Luis Arce Catacora vice e non cambierebbe assolutamente nulla, nessun risentimento, nessuna disuguaglianza, nessuna reazione contraria tra le file del Mas e nella base, giacché si tratta dell’unica coppia di candidati che soddisfa determinate caratteristiche in un rapporto di assoluta complementarietà, e questo manca totalmente nello schieramento avverso. Inoltre ci tengo a sottolineare che tutto è stato definito in un congresso qui in Bolivia ed è anche per questo che sostengo con convinzione la coppia presidenziale e invito tutti a unirsi al Mas in vista delle prossime elezioni, perché le decisioni vengono prese qui in Bolivia, non all’estero, né a Buenos Aires, né a Rio, né in Messico. Le decisioni devono essere prese qui ed è quello che si sta facendo.
Negli ultimi sondaggi il Mas risulta essere saldamente in testa al primo turno. Esiste ancora il pericolo che un’altra possibile vittoria del Mas venga contestata?
Penso che la storia ci insegni molte cose. Il governo dell’autoproclamata Jeanine Añez è stato un completo fallimento ed è sotto gli occhi di tutti. Inoltre, se la destra volesse nuovamente contestare i risultati delle elezioni, si troverebbe ad agire contro la stessa autorità che le ha permesso di impugnare i risultati delle precedenti elezioni del 20 ottobre 2019. Non penso che siano così insensati da voler contestare una possibile vittoria del Mas in elezioni popolari.
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