Nel «suo» Gujarat Modi vince ma non sfonda
India Primi segnali contrari al modello neoliberista e accentratore del premier indiano
India Primi segnali contrari al modello neoliberista e accentratore del premier indiano
La giornata di ieri potrebbe segnare l’inizio della fine dell’era Modi in India. E senza sottostimarne il valore simbolico, la campanella d’allarme per il Bharatiya Janata Party (Bjp) del primo ministro Narendra Modi suona proprio dal «suo» Gujarat, lo stato nord occidentale che ha dato i natali all’attuale premier e da dove, per NaMo, tutto ebbe inizio.
È IN GUJARAT CHE MODI ha saputo governare per tre mandati consecutivi, plasmando un modello di governance fondato sull’accentramento del potere e sulle agevolazioni sempre più pervasive a un modello di sviluppo di chiaro stampo neoliberista: in due parole, «Gujarat Model».
Quando il 18 dicembre è iniziato lo spoglio dei voti espressi dalla popolazione gujarati nelle ultime due settimane per eleggere i deputati del parlamento locale, è subito parso chiaro che a differenza di gran parte delle elezioni passate – dove il Bjp aveva sempre passeggiato su opposizioni derelitte – questa volta la pancia del paese ha espresso una parziale critica al modello Modi: un mix di suprematismo hindu e deregulation ultracapitalista capace di instillare nel popolo indiano la speranza di giorni migliori, di un progresso che avrebbe migliorato la vita di tutti e, di conseguenza, esaltato il peso della nuova India sullo scacchiere globale.
CON UNA CRESCITA ECONOMICA al di sotto delle aspettative, azzoppata intorno al sei per cento a causa della demonetizzazione del 2016 e dall’introduzione della riforma fiscale per l’«Iva unificata» indiana (Gst), per la prima volta dal 2014 gli oppositori di Modi hanno espresso un voto coeso in cerca di un’alternativa. Il Bjp ha vinto in Gujarat ma, rispetto alla scorsa tornata elettorale, ha perso ben 21 seggi: con 99 deputati su 182 dell’assemblea parlamentare gujarati, il partito che esprime il governo federale formerà anche l’esecutivo locale ma, sottolineano i detrattori, non è stato nemmeno in grado di superare la soglia psicologica dei 100 seggi.
Merito, secondo le prime analisi, di una coalizione anti-Bjp messa in piedi dal neo presidente dell’Indian National Congress (Inc) Rahul Gandhi, intercettando rappresentanti ed elettori avversi al suprematismo hindu o delusi dalla carenza di nuove opportunità lavorative: i dalit, i patel, i musulmani, le caste inferiori.
SIGNIFICATIVA LA REAZIONE della comunità dalit, guidata dal giovane leader Jignesh Mevani, reduce da una stagione di violenze su base castale che proprio in Gujarat è deflagrata nel 2016. Quando una famiglia dalit fu massacrata da un gruppo di «gau rakshak» (vigilantes ultrahindu per la difesa della mucca, considerata sacra da buona parte della comunità induista), l’interà comunità reagendo all’ennesimo sopruso perpetrato da estremisti hindu vicini al Bjp organizzò proteste in tutto lo stato.
Mevani, eletto in una circoscrizione già roccaforte del Congress, in una recente intervista rilasciata a Huffington Post India, descrivendo gli ultimi quattro anni di gestione Bjp dello stato, ha dichiarato: «Il fascismo è fascismo, e rovinerà il nostro paese se continueremo a starcene in silenzio».
SOTTO L’EGIDA DELL’INC, l’alleanza anti-Bjp ha conquistato ben 77 seggi (+33 rispetto alle elezioni precedenti) e, seppur formalmente perdente, per la prima volta ha davvero messo in difficoltà l’oliatissima macchina del consenso targata Modi. Per le opposizioni nazionali al modismo, la speranza è che l’unione d’intenti gujarati si possa riproporre a livello panindiano anche nel 2019. Mai come prima d’ora, un’alternativa a un secondo mandato del Bjp sembra possibile.
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