Il tempo passa e la situazione nelle regioni orientali della Repubblica democratica del Congo (Rdc) resta senza soluzione. Da mesi si susseguono senza esiti significativi colloqui di pace per un cessate il fuoco e una ritirata delle milizie ribelli dell’M23 dal Nord Kivu. Secondo un nuovo calendario adottato dai leader della Eastern african community (Eac) il mese scorso, «tutti i gruppi armati» compreso l’M23, devono ritirarsi entro il 30 marzo, seguendo un processo in tre fasi che sarebbe dovuto partire il 28 febbraio e così non è stato.

LA STESSA EAC, che impegna sul campo diverse centinaia di soldati dei paesi aderenti allo scopo di fermare l’avanzata dell’M23, ha confermato l’impiego di truppe anche burundesi. Ma la presenza dei contingenti stranieri, oltre a non aver sortito gli effetti spereati ha creato un diffuso malcontento tra i civili, cheaccusano le forze dell’Eac di passività di fronte ai gruppi armati.

Ma le questioni a cui il governo della Rdc si trova a dover far fronte sono diverse: tra queste forse quella che pesa di più sono le elezioni previste per dicembre. Il presidente Felix Tshisekedi alla sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite, tenutosi a Ginevra la scorsa settimana, ha dichiarato che «il perdurare della guerra nell’est del nostro Paese rischia di mettere a repentaglio il processo elettorale, che è già in corso, a causa un massiccio spostamento di persone dalle zone di combattimento, l’insicurezza e l’inaccessibilità di queste aree».

Secondo Reuters la Commissione elettorale nazionale indipendente congolese (Ceni) potrebbe rinviare il voto. È stato già mancato due volte il termine per la registrazione degli elettori in più di una dozzina di province occidentali a causa di problemi tecnici e la registrazione è stata finora impossibile nel territorio sotto il controllo dell’M23 nel Nord Kivu, una delle province più popolose. I combattimenti hanno costretto molti residenti a fuggire: l’Onu parla di 5,7 milioni di sfollati interni e un altro milione di congolesi che ha trovato rifugio nei paesi confinati.

LA POSSIBILITÀ DI UN RINVIO della tornata elettorale darebbe credito alla tesi del presidente ruandese Paul Kagame secondo cui il leader congolese Tshisekedi sta sfruttando l’insicurezza nell’est irrequieto per rinviare le elezioni, opinione espressa in risposta alle ripetute accuse, sostenute da Usa e Onu, di sostegno ai ribelli dell’M23 da parte di Kigali. Ed è proprio per le tensioni tra i due paesi della regione dei Grandi laghi che sabato scorso migliaia di cittadini di Kinshasa sono scesi per le strade mentre il presidente francese Emmanuel Macron era ricevuto a palazzo. Protestavano contro il sostegno di Parigi all’esercito ruandese. Macron si è detto rammaricato della situazione nelle regioni orientali della Rdc, che «non deve essere un bottino di guerra».

Il presidente francese ha quindi annunciato «un contributo immediato di 34 milioni di euro in aiuti umanitari». Ma non ha fatto seguito alla richiesta di Tshisekedi di condannare e sanzionare il Ruanda per l’appoggio all’M23.

DURANTE LE MANIFESTAZIONI di sabato scorso nella capitale congolese, molte persone hanno alzato bandiere russe e invocato l’aiuto di Putin, esprimendo il sentimento antifrancese che va di pari passo alla rinvigorita presenza cinese e russa in vaste zone del continente. Dopo che giovedì, alla vigilia del suo tour Macron ha affermato che l’era dell’ingerenza francese in Africa è finita, la visita in uno dei paesi più ricchi di risorse naturali al mondo sembra una mossa con più fini: non ultimo quello di mantenere quel poco di presenza che serve per evitare la vittoria definitiva dell’influenza russa e cinese nel continente.