In Tunisia è iniziato il gennaio caldo. Mese dove storicamente si registrano importanti manifestazioni di protesta a sfondo politico ed economico, anche il 2023 non ha fatto eccezioni.

Sabato 14, il giorno più simbolico – nel 2011 rappresentò la cacciata del despota Zine El-Abidine Ben Ali e il completamento della Rivoluzione della libertà e della dignità – migliaia di persone sono scese in strada a Tunisi per chiedere la fine del regime di Kais Saied.

DIVERSI ANALISTI l’hanno già definita «la manifestazione più grande da anni a questa parte». Una manifestazione che, sempre da anni a questa parte, ha visto sfilare gran parte dell’opposizione tunisina, divisa su tutto ma non sul presidente della Repubblica, considerato l’inquilino non legittimo del palazzo di Cartagine.

Protagonista della scena è stato il Fronte di salute nazionale, una galassia di partiti che vede nella formazione di ispirazione islamica Ennahda il punto focale.

Dopo anni difficili di governo e pesanti giudizi da parte della popolazione nei confronti di una classe dirigente ritenuta incapace di guidare il paese attraverso la crisi economica che lo attanaglia da tempo, la giornata di ieri per il movimento guidato da Rached Ghannouchi è stata una prova per capire la capacità di mobilitare il proprio bacino di sostenitori.

La risposta è stata più che soddisfacente, le stime parlano di almeno 6mila manifestanti. Non tutti però erano di Ennahda. Ieri in avenue Borguiba, il lungo viale alberato simbolo della Rivoluzione del 2011, erano presenti anche diversi partiti della sinistra, che si sono trovati a manifestare insieme ai loro nemici storici solo perché questi ultimi hanno deciso di disobbedire alle direttive imposte dal ministero dell’Interno che impediva loro di recarsi nel centro di Tunisi.

Anche se non sono mancati i momenti di tensione con la polizia, la manifestazione non ha registrato scontri e, a differenza delle proteste del 2022, le forze di sicurezza non sono ricorse all’uso di idranti e gas lacrimogeni.

UN’ALTRA PROTESTA che prometteva diversi gradi di tensione si è risolta senza incidenti: la marcia promossa dalla leader del Parti destourien libre Abir Moussi, nostalgica del regime di Ben Ali, che ha indetto un corteo spontaneo verso il palazzo di Cartagine.

Azione mai successa e che è stata prontamente bloccata dal dispositivo securitario messo in campo dal ministro dell’Interno Taoufik Charfeddine.

Nonostante nelle scorse settimane Saied avesse fatto riferimento a questi partiti come «i veri nemici della Tunisia», il vero bersaglio per il responsabile di Cartagine ora è la crisi economica.

Dopo avere esautorato il parlamento e il governo nell’estate 2021 e aver assunto di fatto ampi poteri attraverso una costituzione pensata e imposta da lui, il presidente è chiamato a rispondere alle rivendicazioni economiche e sociali, arrivate a un livello che non si vedeva da tempo.

Non è un caso che in avenue Bourguiba le frasi più ripetute abbiano fatto riferimento «al periodo più buio della storia tunisina. Il sistema sta collassando, l’economia anche. Non resteremo in silenzio».

NON È UN CASO neanche che diversi manifestanti abbiano deciso di appendere alle loro bandiere dei cartoni di latte, simbolo della penuria di beni di prima necessità che da mesi interessa il paese.

C’è un elemento da aggiungere. Il sindacato più importante della Tunisia, l’Unione generale tunisina del lavoro (Ugtt), ha dichiarato che «la democrazia non può essere messa in discussione» e farà di tutto per preservarla.

Insieme ad altri attori della società civile sta promuovendo un dialogo nazionale per porre un freno alla crisi economica e sociale in corso. Se Kais Saied non dovesse mostrarsi ricettivo, a diventare caldo non sarà solo gennaio ma rischia di esserlo tutto il 2023.