Cespugli che scendono dall’alto come nuvole per riflettersi nell’acciaio sagomato, evocazione dei giardini islamici e persiani. L’odore è quello del limonio (Limonium sogdianum), specie naturale che cresce spontaneamente nell’Asia Centrale e in particolare in Uzbekistan, misto alla salsedine che proviene dalla laguna che lambisce la Quarta Tesa dell’Arsenale dove è allestito Dixit Algorizmi – Il Giardino della Conoscenza, il padiglione della Repubblica dell’Uzbekistan alla 59° Mostra d’arte internazionale – La Biennale di Venezia, commissionato da Gayane Umerova, direttrice generale della Fondazione per lo Sviluppo Culturale e Artistico dell’Uzbekistan e sostenuto da Saida Mirziyoyeva, vicepresidentessa dello stesso Ente.

UN LUOGO CONCEPITO dal team curatoriale di Studio Space Caviar (Joseph Grima, Camilo Oliveira, Sofia Pia Belenky, Francesco Lupia) e Sheida Ghomashchi come spazio di negoziazione del rapporto tra uomo e tecnologia, in cui si esercita la stessa libertà creativa che si respirava nelle conversazioni e negli scambi tra intellettuali, saggi, scienziati, matematici, astronomi dell’antichità. Un passato che guarda ad oriente, al luogo natìo di Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi, il padre dell’algebra e dell’algoritmo, parola che deriverebbe proprio da Algorismus, traslitterazione latina del nome dello scienziato al-Khwarizmi, autore di vari testi che spaziano dal calcolo matematico all’aritmetica indiana, dalle tavole astronomiche agli scritti sulla storia, sulla geografia e sulla cartografia. Egli nacque nel 783 d.C. a Khiva nell’antica Corasmia (oggi Uzbekistan) e morì a Baghdad nel 850 d.C. dove si era trasferito per vivere alla corte del califfo al-Mamun che lo nominò responsabile della sua biblioteca detta Bayt al-Hikmah o Casa della Sapienza.

Le performance sonore basate sugli algoritmi sono il frutto di un dialogo tra le composizioni classiche uzbeke scritte da Zufarov e suonate con il tanbur, gli errori digitali o analogici e le musiche riprodotte in automatico dallo Yamaha CP80 modificato da Tapp.

«Come sappiamo, al giorno d’oggi, le nostre vite sono in qualche maniera regolate da algoritmi. Spesso però si dimentica che l’algoritmo non è assolutamente un’invenzione contemporanea, ma ha delle origini molto antiche legate ad un luogo specifico – inaspettato – e ad un singolo individuo. È molto importante riscrivere la narrazione distopica della relazione con la tecnologica», afferma Joseph Grima. La traduzione latina del libro Kitab al-Jabr wa-al-muqabala (unica versione tramandata ai posteri) inizia proprio con la formula «Dixit Algorizmi», ovvero «Così parlò al-Khwarizmi».

PARTENDO da questa riflessione i curatori hanno concepito una mostra che non è propriamente una vetrina statica di opere d’arte, piuttosto è un progetto ongoing che prevede degli sviluppi «fluidi», a partire dal viaggio a Khiva sulle tracce di al-Khwarizmi alla pratica di «glitch art» di Abror Zufarov e Charli Tapp che accompagna il visitatore in diversi momenti della giornata. Le performance sonore basate sugli algoritmi sono il frutto di un dialogo tra le composizioni classiche uzbeke scritte da Zufarov e suonate con il tanbur, gli errori digitali o analogici e le musiche riprodotte in automatico dallo Yamaha CP80 modificato da Tapp.
«Non volevamo creare un luogo che fosse letteralmente un «giardino della conoscenza», ma una sorta di «giardino dei sogni» che potesse diventare uno spazio multidisciplinare e ospitare per tutta la durata della Biennale arte, musica, scienziati, pensatori con workshop pubblici organizzati dal laboratorio di ricerca del Centro per l’arte contemporanea di Tashkent», continua Sofia Pia Belenky. «Il progetto allestivo del padiglione riflette tutto questo: uno spazio aperto – senza pareti – dove le superfici specchiate restituiscono l’idea degli specchi d’acqua degli antichi giardini islamici».