Nel feudo di Vox, sotto le serre i soliti migranti
Andalusia A El Ejido, centro agricolo in provincia di Almería, l’ultra destra ha sfondato alle regionali e ora tenta il cappotto. Nel mirino i braccianti che raccolgono la verdura sotto distese di plastica. Senza di loro l’economia locale si fermerebbe, ma la propaganda che gioca sull’ipocrisia cavalca lo spettro dell’«invasione islamica»
Andalusia A El Ejido, centro agricolo in provincia di Almería, l’ultra destra ha sfondato alle regionali e ora tenta il cappotto. Nel mirino i braccianti che raccolgono la verdura sotto distese di plastica. Senza di loro l’economia locale si fermerebbe, ma la propaganda che gioca sull’ipocrisia cavalca lo spettro dell’«invasione islamica»
Su una parete sopra il bancone dell’anonimo ristorante Belenguer, nella cittadina andalusa di El Ejido, centro agricolo di quasi 90mila abitanti in provincia di Almería, accanto alla rituale bandiera spagnola spicca una stampa logora con la foto del generalissimo, Francisco Franco. «Joderos, conmigo se podía fumar», recita la didascalia. Nessuno però sembra farci caso, almeno non quei pochi avventori che in una tarda mattinata di metà aprile presidiano stancamente i tavolini del locale e che sembrano non avere nessun timore reverenziale a esplicitare un certo tipo di appartenenza politica. Se si potesse pronunciare liberamente, da questi parti l’antico slogan franchista «Una, Grande y Libre» avrebbe certamente più di un nostalgico sostenitore.
«Qui votiamo tutti Vox, anche se alcuni si vergognano di dirlo. Ma ti sei guardato intorno, chi altri dovremmo votare?», dice un ragazzo che preferisce rimanere anonimo. Quando gli squilla il cellulare, si intuisce l’attacco della Marcha Real, l’inno nazionale spagnolo: «Alzad los brazos, hijos – del pueblo espanol – que vulve a resurgir». Fuori dal locale, tra una carniceria (macelleria) e un negozio di kebab, scorre placida la vita del barrio di Las Norrias, sei chilometri dal centro cittadino, dove più del 50% dei suoi abitanti non ha passaporto spagnolo. La maggior parte sono migranti di origine marocchina o subsahariana, arrivati in questa zona con piccole imbarcazioni dal vicino Marocco, ogni anno solo sulla costa di Almería ne sbarcano a ciclo continuo 40-50 mila senza che la notizia finisca sui giornali (a meno di tragedie), per lavorare, almeno temporaneamente, nell’area del cosiddetto mar de plastico, come viene definita questa parte della provincia di Almería, un tempo poverissima, dove a partire dalla fine degli anni Settanta si è sviluppata la più alta concentrazione di serre al mondo. Una distesa impressionante di terre che costeggiano la costa per chilometri e che coprono ogni minuscolo spazio dove filtri anche un singolo raggio di sole.
La scintillante plastica bianca che ricopre i terreni anticamente serviva a diminuire la forza dei venti ma con il tempo è stata utilizzata per generare un calore che contribuisce ad anticipare i raccolti e ha permesso di trasformare la provincia di Almería, una zona prettamente desertica, non a caso in passato scenario prediletto dei set cinematografici degli spaghetti western, nel più grande giardino d’Europa. Una huerta gigante, come l’ha chiamano gli spagnoli, dove si coltiva più del 50% della verdura (zucchine, melanzane, pepe, fagiolini verdi, oltre quaranta tipi di pomodori) che arriva sulle tavole europee, inclusa l’Italia.
È in questa zona del mar de plastico che la propaganda di Vox ha fatto breccia in una larga parte della popolazione, colmando una lacuna tutta spagnola: quella di non aver ancora visto sorgere una destra sovranista dai tempi della fine dalla dittatura. Forse perché, raccontano i maligni, il partito Popolare è stato a lungo sufficientemente scaltro da tener insieme le sue varie anime, inclusa quella reazionaria, non così residuale come si vorrebbe far credere. Ci hanno poi pensato la crisi del 2008, la sensibilissima questione catalana, «Spagna unita» è uno degli slogan più abusati, e l’apparente preoccupazione per la questione migranti a far saltare il banco. Così alle ultime elezioni regionali andaluse il partito fondato da Santiago Abascal, l’ex membro del partito Popolare che si vanta orgoglioso di girare sempre con una Smith and Wesson al suo fianco, ha ottenuto l’11% e ben dodici deputati, numeri inimmaginabili anche solo qualche mese prima. Numeri che però salgono al 20% nella provincia di Almería, una zona dove il partito socialista non ha mai incontrato i favori di un lettorato tradizionalmente conservatore, e che raggiungono uno sbalorditivo 28% proprio a El Ejido (nelle regionali del 2015 in città i voti erano stati 58), dove si racconta che convivano persone di 94 nazionalità diverse e dove Vox è diventato il partito più votato. Al punto che ora si punta non solo a rafforzare il successo alle politiche nazionali di domenica ma si sogna anche la (ri)conquista del primo scranno municipale, nelle elezioni locali che si terranno nella cittadina spagnola a maggio.
«Hanno utilizzato il tema dell’immigrazione come elemento destabilizzatore, giocando con le paure irrazionali basate sui sentimenti e non sulla ragione, ingigantendo i fatti reali e rianimando un tipo di linguaggio che parla di reconquista e rimanda ai tempi bui di questo paese», racconta Juan Miralles, presidente di Almería Acoge, un’associazione non governativa che si occupa dell’inserimento dei migranti. «Azioni del genere seminano paura e rifiuto nei confronti degli altri ma è evidente che nel breve periodo portano voti, senza naturalmente tener in minimo conto le conseguenze sociali che causeranno».
In questa parte dell’Andalusia l’agricoltura rappresenta una vera e propria industria, la principale attività della provincia, più del turismo, e produce un giro di affari che sfiora i 3mila milioni di euro l’anno. Per avere un’idea basti pensare che solo dalla città di Almería ogni giorno partono circa 3mila camion carichi di verdura diretti in Europa. Un ettaro di terreno può generare guadagni fino a 100mila euro l’anno ma richiede molta manodopera, tra i dieci e i quindici lavoratori a seconda di quello che si produce. «È un mercato che deve affrontare la forte concorrenza di Turchia e Marocco e questo non fa che diminuire il costo della manodopera, che si aggira intorno ai quattro euro l’ora», precisa Antonio Lai, direttore del quotidiano Diario de Almería. Così sono pochi gli spagnoli che scelgono di spaccarsi la schiena negli invernaderos, come da queste parti chiamano le serre. «È per questo che i migranti sono la soluzione al problema, entrano e il giorno dopo già possono lavorare». La gran parte vive in condizioni relativamente dignitose ma non sono pochi (non ci sono cifre esatte, si parla di più di 2mila persone) quelli costretti a vivere nella chabolas, fatiscenti baracche senza elettricità e servizi igienici, dove d’inverno il tetto di lamiera non riesce neanche a trattenere l’acqua e d’estate il calore può risultare davvero insopportabile.
Ma la vera ipocrisia, ennesima dimostrazione di quanto la politica sia oggi sempre più sensibile agli umori della propaganda e sempre più superficiale quando si tratta di confrontarsi con i problemi reali, è che nella provincia di Almería la maggior parte degli impresari, ovvero dei proprietari dei terreni, ha spostato il proprio voto dal partito Popolare a quello di Abiscal. Così capita di assistere a un fenomeno paradossale: da un lato forniscono, spesso legalmente, lavoro ai migranti, senza i quali le serre, e di conseguenza i lauti guadagni, si fermerebbero all’istante, ma dall’altro portano avanti una vera azione di propaganda, accusando gli stessi migranti di rubare il lavoro ai nativi e minacciando di rispedirli a casa. «Fondamentalmente – aggiunge con un sorriso Antonio Lai – vorrebbero che i migranti lavorassero silenziosamente di giorno ma che si nascondessero di sera, senza andarsene in giro per le vie del centro a ’importunare’ gli spagnoli». Per avere un’idea basterebbe ascoltare uno dei candidati sindaco di Vox della provincia di Almería fare il tribuno in piazza cavalcando il tema «dell’invasione islamica», salvo poi tornare al suo lavoro di farmacista in un piccolo pueblo dove i clienti sono per la maggior parte quei migranti che il suo partito dichiara di voler rispedire dall’altra parte dell’Atlantico.
A rendere ancora più interessante la situazione a El Ejido c’è il nome del candidato sindaco di Vox al municipio, Juan Josè Bonilla Lopez. Quarantadue anni, avvocato e agricoltore, possiede due invernaderos, suo padre fu ucciso nel 2000 da un immigrato marocchino che lavorava per lui e che gli tagliò la gola in un raptus di follia. Un gesto che, unito alla morte per mano di un altro migrante di una ragazza spagnola, scatenò all’epoca una sorta di «caccia al moro» razzista che durò più di una settimana e di cui molti ancora si ricordano.
«Non mi candido in cerca di vendetta. Noi non vogliamo riempire il furgone di immigrati e portarli fuori dal paese. Io ho due lavoratori come dipendenti che ho messo in regola, e anche come avvocato molti dei miei clienti sono stranieri, io dipendo dagli immigrati. Noi chiediamo solo di contrastare l’immigrazione illegale», afferma Juan Josè Bonilla Lopez, appena prima di indicarmi stizzito un ragazzo la cui unica colpa sembrerebbe quella di camminare lungo un marciapiede alle undici di mattina di un giorno lavorativo. «Se a quest’ora non sta lavorando – dice convinto – vuol dire che non ha i documenti e dunque che si trova qui illegalmente».
Come scrisse il poeta Antonio Machado in una lunga lettera a Miguel de Unamuno al termine di un viaggio nelle campagne spagnole negli anni Cinquanta, «è più Spagna qui che all’ateneo di Madrid…».
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