Nel cratere nero dove la destra fa il pieno
A sei anni dal terremoto che sconvolse l’Appennino, tra comuni spopolati e cantieri infiniti, dopo la Lega si aspetta il ciclone Fd’I
A sei anni dal terremoto che sconvolse l’Appennino, tra comuni spopolati e cantieri infiniti, dopo la Lega si aspetta il ciclone Fd’I
Il simbolo del terremoto, sei anni dopo la scossa che rase al suolo metà dell’Italia appenninica, è un cartello appeso sul portone del pronto soccorso di Amandola, in provincia di Fermo, il weekend dopo ferragosto: «Chiuso per mancanza di medici». Per la cronaca, l’ospedale più vicino è a 50 chilometri. In fondo è tutto qui: la ricostruzione procede a piccoli passi, i cantieri sono aperti, il commissario Giovanni Legnini esibisce numeri incoraggianti. Eppure ormai nei paesi del cosiddetto cratere sismico di abitanti ne sono rimasti davvero pochi, e la mole di turisti che passano uno spicchio delle loro vacanze da queste parti mascherano solo in parte l’abbandono.
SONO PASSATI DUE ANNI da quando le Marche sono passate dal Pd alla destra, anche sull’onda di una campagna sulle (enormi) colpe del centrosinistra nella gestione del terremoto, ma il poco che si è mosso di certo non l’ha fatto per quello che si è deciso ad Ancona. A Visso, in provincia di Macerata, negli uffici comunali alzano le spalle quando si domanda un semplice «come va?» e a guardarsi intorno, in effetti, il tempo sembra non essere mai passato. Stesso discorso vale per Arquata del Tronto: le strade sono ormai pulite, di macerie in giro non se ne vedono poi moltissime, ma basta alzare lo sguardo per rendersi conto che il paese non esiste più: la rocca, in alto, è impacchettata come sempre, intorno la corona di case sventrate è la stessa di sempre. In basso, sulla Salaria, le macchine e le motociclette passano, per lo più dirette verso i punti ristoro dei villaggi di casette provvisorie. Amatrice offre più speranze: il vialone centrale è affollato, però, al di là delle transenne, quello che fu il centro del paese è un deserto di polvere con qualche moncherino di palazzo a ricordare ciò che è stato e non è più.
IL FUTURO? L’UNICO progetto che sta in piedi – e vale oltre 30 milioni di euro che per lo più usciranno dal Pnrr – si chiama «Sistema Integrato Montagna» e si farà a Sarnano, nel maceratese: igloo, pista da sci con neve artificiale, camping, strutture turistiche varie. Gli ambientalisti sono perplessi, il sindaco giura e spergiura che sarà un affare glorioso e che tutto il territorio ne beneficerà. La gente non sa bene di cosa si stia parlando, un po’ spera davvero che il domani sarà luminoso e un po’ coltiva la consapevolezza che di chiacchiere se ne fanno tante e che i fatti chi lo sa se mai ci saranno davvero.
UNA VISIONE DEL FUTURO, però, ce l’hanno tutti: il 25 settembre nel cratere la destra farà il pieno. Di nuovo. Era già successo alle politiche 2018 con l’esplosione della Lega, alle europee del 2019 quando il partito di Salvini trasformò l’exploit in dominio e poi nel 2020, alle regionali, quando Francesco Acquaroli di Fratelli d’Italia si impose più o meno ovunque, facendo brandelli di una coalizione di centrosinistra che non esisteva. A resistere c’era solo il Pd, ancora dotato di persone che, come si dice, sul territorio riescono a prendere voti e, dunque, rimasto a galla grazie alle preferenze. E così proverà a limitare i danni tra un mese: al secondo posto nel listino proporzionale della Camera, in teoria quasi sicuramente eleggibile, c’è Augusto Curti, sindaco di Force, comune terremotato. Per il resto i sondaggisti non danno grandi speranze alla coalizione di centrosinistra, anzi pare che da queste parti la destra potrà raccogliere tra le percentuali più alte d’Italia.
DEL RESTO IERI pomeriggio Giorgia Meloni ha aperto la sua campagna elettorale ad Ancona: lo fece già nel 2019, ma a differenza di allora quando il suo pubblico fu triplicato dalle sardine che la contestavano poco distante, questa volta piazza Roma è piena di suoi sostenitori. L’hanno accolta con cori da stadio e più volte hanno interrotto il suo comizio con gli applausi. Zero parole sul terremoto, un accenno appena alla situazione locale: «Nelle Marche Fratelli d’Italia ha dimostrato di avere una classe dirigente», così dice la sorella d’Italia, che per sé ha riservato la candidatura al collegio uninominale della Camera di L’Aquila e Teramo, dove cioè il cratere del terremoto del 2016 si incrocia con quello del 2009. Ecco, la destra ha più di qualche responsabilità sulla sin qui mancata ricostruzione abruzzese e comincia ad averne anche sulla stasi marchigiana, ma i consensi non sembrano nemmeno lontanamente vicini ad andare in crisi. La metafora, comunque, è tutta nel corpo della leader: la sua presenza da queste parti vuole suggerire che il governo di Fratelli d’Italia nelle Marche e in Abruzzo sono un antipasto di quello che accadrà al resto del paese. Tutto fermo, tutto immobile, ma con il volto sorridente di sorella Giorgia: «Pronti a risollevare l’Italia», come da manifesti elettorali. Ma la verità è nelle macerie di un doposisma che continua ad essere un eterno durante.
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