È uno sguardo inestimabile quello che insieme modellano negli anni Bastian, un adolescente cileno, che fin da piccolo si sente un ragazzo, nato con il corpo di una ragazza, e la cugina Lorena Zilleruelo, filmmaker emigrata due decenni prima in Francia per studiare cinema.
Uno sguardo rispettoso, partecipe, minutamente attento e discreto, come fosse uno specchio accogliente, quello che la cineasta offre al cugino, il componente più giovane della famiglia: uno sguardo di accompagnamento, che nelle visite annuali nel suo Paese d’origine, nel paradiso di fiori e mare della Laguna, custodisca il filo del discorso della transizione psicofisica del ragazzo.
Da parte di lui c’è desiderio di affidarsi, di incontrare se stesso e la sua evoluzione, grazie al feedback della cavea protetta apparecchiata dalla cugina tra aggiustamenti di inquadrature, ciak, primi piani e fermoimmagini. Ne nasce un patto saldissimo tra i due, che struttura Soy niño di Lorena Zilleruelo, già in anteprima al MiX Festival Internazionale di Cinema Lgbtq e Cultura Queer di Milano ed ora a «Divergenti», festival internazionale di cinema trans fino al 3 dicembre alla cineteca di Bologna quest’anno sul tema del sex work tra le donne trans.

Soy niño muove dal desiderio di dirsi di Bastian (che alla fine sarà il suo nome per la legge, dopo essere stato Andrea alla nascita, poi Alexis e quindi David, per un comune accordo coi suoi all’interno di una rosa di nomi da lui preferiti, quasi fosse un secondo cruciale battesimo). Dunque David ha 14 anni e già da qualche tempo si percepisce nettamente «distinto» e non in risonanza con i cambiamenti del suo corpo, ha il ciclo e cerca in rete video con le esperienze di ragazzi e ragazze trans, che lo facciano sentire meno solo.

Questo, mentre Zilleruelo, che nel frattempo è diventata madre di una bambina, sempre in voice over, gli manifesta la sua ammirazione per aver infranto i codici di un Paese ancora imbevuto del passato della dittatura e della forma mentis machista, facendo coming out già all’inizio del liceo con i genitori, i professori, i compagni.

Poi ci sono delicati momenti di confidenza, come rapportarsi al mostrare il corpo al mare , il dolore provato per le iniezioni che inibiscono gli ormoni, la delusione per non poter effettuare la mastectomia perché troppo onerosa per la famiglia, la scelta di cominciare a forgiare il suo corpo in palestra, il progetto di diventare insegnante di educazione fisica e di sostenere chi vuole seguire il suo stesso tracciato. Ma il film fiorisce specialmente quando David dimentica di essere trans, come afferma rispondendo a una acuta domanda della cugina, quando lo si vede ascoltare con le cuffie la musica, guardare il football, divertirsi coi suoi amici o con la sua ragazza che ha un vissuto risonante col suo.

Altrove emerge la cifra politica del documentario, il contesto non comune, supportante e non tragico in cui si staglia questa storia, l’apprezzamento per l’impegno dei genitori di David, anche a sostegno della legge in materia di identità di genere.

Infine un flash dagli home movies girati dal padre di Zilleruelo. Da piccolo David era rimasto deluso per aver ricevuto un costume da Uomo ragno ma con la gonna. E quando il doc si congeda, l’autrice rincorre per gioco la figlia, mentre indossano maschere di animali e mentre affiorano piccole isole di metacinema: David seduto e lei a un passo con il suo armamentario per le riprese, immagini del presente e del futuro di un cinema povero (e queer), come Grotowski intendeva il teatro, ossia ricco di affettuose visioni interiori, non giudicanti e dialoganti.