Se l’obiettivo di Emmanuel Macron era ottenere un «chiarimento» tramite il responso delle urne si può solo constatare il fallimento della strategia del presidente della Repubblica francese. Il panorama che emerge dal primo turno delle legislative è immerso in una fitta nebbia di ballottaggi «triangolari», di «né-né» proclamati dalle segreterie dei partiti, di divisioni in seno al campo macronista.

UNA COSA, ALMENO, è stata espressa con chiarezza: la posizione delle sinistre riunite nel Nuovo Fronte Popolare (Nfp). «In caso di triangolare, se il Rassemblement National (Rn) è in testa e noi siamo terzi, ritireremo le nostre candidature», ha detto il leader de La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon, già domenica sera, appena sono state rese pubbliche le prime proiezioni, facendo eco alla posizione di tutti gli altri partiti della coalizione. Tale mancanza di ambiguità stride drammaticamente con le dichiarazioni del campo macronista. Anche l’inquilino dell’Eliseo, sempre domenica sera, aveva chiesto che gli esponenti del suo partito si ritirassero in favore di candidati piazzati meglio per barrare il passo al Rn, a patto che questi fossero «chiaramente democratici e repubblicani». Una formula che, nel gergo marcronista, esclude La France Insoumise (Lfi) tanto quanto il Rn, da tempo accomunati nel sacco degli «estremisti» nell’equazione dell’ormai ex-maggioranza presidenziale.

IERI ALCUNI PEZZI GROSSI della macronie hanno esplicitato una linea che i giornali francesi definiscono del «né-né»: né Mélenchon, né Marine Le Pen. Intervistato ieri mattina dalla radio pubblica, il ministro dell’economia Bruno Le Maire ha invitato gli elettori a riportarsi su «un candidato del campo socialdemocratico», ovvero appartenente a socialisti, verdi o comunisti, ma non a Lfi considerata «un pericolo per la nazione, come il Rn». Dichiarazioni simili sono state proferite da Yael Braun-Pivet, (ormai ex-)presidente della Camera o da Edouard Philippe, ex-primo ministro e capo di uno dei partiti della coalizione macronista.

SECONDO UN CONTEGGIO di Le Monde alle 20 di ieri sera su 306 ballottaggi «triangolari» ben 120 candidati del Nfp avevano già annunciato il ritiro a profitto di un candidato «repubblicano», chiunque esso sia. Mentre solo 57 candidati della coalizione presidenziale avevano fatto altrettanto. Uno squilibrio che non dice ancora tutto, molte situazioni restano da decidere prima del deposito delle liste previsto per questa sera, ma che aiuta a farsi un’idea delle esitazioni nel campo di Macron quando si tratta di lasciare il passo alla sinistra.

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I CANDIDATI DI LFI, finora, hanno tenuto la linea della «desistenza» quando piazzati terzi anche a fronte di candidature ad alto valore simbolico. Così, gli insoumis hanno lasciato il passo a figure detestate come il ministro degli Interni Gérald Darmanin o l’ex prima ministra Elisabeth Borne, fautrice della contestatissima riforma delle pensioni. Dall’altro lato, invece, le volontà appaiono meno chiare. A Grenoble l’ex-ministro della salute Olivier Véran, arrivato terzo, ha scelto di presentarsi al secondo turno così come il candidato macronista a Bordeaux o la candidata del campo di Macron a Tolosa, Dominique Faure, terza dietro Partito socialista e Rn. «Non farò mai la scelta degli estremi», ha scritto su Twitter per difendere la propria decisione, sebbene di fronte non avesse un candidato del partito di Mélenchon.

TUTTAVIA ALTRE FIGURE della macronie sembrano in queste ore spingere per una strategia di «desistenza» generale. Lunedì pomeriggio personalità come Gabriel Attal, primo ministro uscente, e Bernard Guetta, vice-capolista alle europee, così come la stessa Elisabeth Borne o ancora l’ex-ministro dei trasporti Clément Beaune hanno invitato il proprio campo a «non mettere un segno uguale» tra l’estrema destra e il Nfp o Lfi.

DI FRONTE ALLE ESITAZIONI del campo presidenziale, per evitare il peggio la sinistra dovrà sfruttare i propri punti forti e continuare a surfare l’ondata di mobilitazione popolare che ha accompagnato la creazione del Nfp. Secondo gli istituti di sondaggi, la gauche ha ottenuto i risultati migliori tra i giovani – che l’hanno votata in massa, quasi il 50% -, nei quartieri popolari urbani e nei segmenti salariali più bassi. Ha invece subito l’avanzata lepenista soprattutto nei territori rurali e nel nord de-industrializzato, dove il segretario del Partito comunista Fabien Roussel è stato addirittura eliminato al primo turno, mentre una figura importante di Lfi come François Ruffin, candidato di Amiens, affronterà l’estrema destra al ballottaggio in posizione sfavorevole.