L’estrema destra è alle porte del potere in Francia. Ma è ancora possibile evitare il peggio, la maggioranza assoluta al Rassemblement National. Bisogna aspettare oggi alle 18, per vederci più chiaro sugli schieramenti per il secondo turno di domenica 7 luglio, dopo la conferma del terremoto politico che sta scuotendo la Francia con i risultati del primo turno.

Ieri c’erano già più di 170 “desistenze” al secondo turno dei candidati nelle 306 sfide “triangolari” possibili. L’alta affluenza alle urne ha permesso molte “triangolari”, cioè oltre ai primi due candidati arrivati in testa un terzo ha la possibilità di presentarsi (ci sono persino 5 quadrangolari).

L’ESTREMA DESTRA – Rn più il drappello portato dall’ex Lr, Eric Ciotti (il partito di Zemmour, Reconquête, è quasi sparita) – ha ottenuto il 33%, 10,6 milioni di voti (nel 2017 ne aveva 3 milioni, cioè ha moltiplicato per quattro i consensi). Ha eletto 39 deputati al primo turno (Marine Le Pen ha preso il 58% nel Nord).

Il Rn è primo in 222 circoscrizioni, a cui si aggiungono altre 60 con l’ala Ciotti. Al secondo turno il Rn ha qualificato 383 candidati.

Il Nuovo Fronte Popolare, con il 28% dei voti, ha avuto 31 eletti al primo colpo ed è arrivato in testa in 128 circoscrizioni. Ensemble, la coalizione che sostiene Macron, ha avuto 2 eletti al primo turno ed è arrivato in testa solo in 68 circoscrizioni.

Cosa faranno Nfp e Ensemble al secondo turno, nel caso di triangolari? La sinistra è chiara: ritiro della candidatura nel caso in cui l’esponente del Nfp sia in terza posizione e invito ai propri elettori a votare contro l’estrema destra, per il candidato in migliore posizione (che può essere di Ensemble o Lr).

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Jean-Luc Mélenchon già domenica sera ha affermato: «Nessun voto al Rassemblement National» e ha precisato «in caso di terzo posto, ritiro». Più confusa la posizione dell’area Macron, dove sono compresenti tutte le sfumature. «Di fronte al Rn è il momento di un’ampia unione chiaramente democratica e repubblicana al secondo turno» ha affermato Macron domenica sera.

Emmanuel Macron
Emmanuel Macron foto di Christophe Ena /Ap

IERI IL PRESIDENTE ha riunito il governo all’Eliseo, per mettere a punto una strategia, ma non c’è stato un vero chiarimento. Il primo ministro, Gabriel Attal, e alcuni ministri, come Laurent Lescure, sono chiaramente per la “desistenza” in ogni caso per favorire il candidato meglio piazzato del Nfp.

Ma nell’area, ci sono molti dubbi.

Per il ministro delle Finanze, Bruno Le Maire, la desistenza è valida se c’è un “socialdemocratico”, quindi è esclusa la France Insoumise. L’ormai ex presidente dell’Assemblée Nationale, Yaël Braun-Pivet, dice: «Nessun voto al Rn» ma «nella France insoumise faccio dei distinguo» e propone il “caso per caso”. L’ex primo ministro, Edouard Philippe, con il suo gruppo Horizon è per il “ni ni”, né voto per Rn né per Lfi.

Ma gli elettori dei due campi seguiranno le indicazioni dei partiti? Non è sicuro, perché ormai il “cordone sanitario”, con la costituzione di un “fronte repubblicano” è saltato, non funziona più. Il depotenziamento del “fronte repubblicano” è avvenuto parallelamente a un cambiamento nell’elettorato dell’estrema destra: non si tratta più di un voto solo di protesta, di espressione di rabbia, ma ormai è di adesione alle posizioni del Rassemblement National, cioè sulla “preferenza nazionale” e il rigetto degli immigrati, mentre la macchia bruna si è diffusa in tutta la Francia, solo le grandi città sono escluse, Parigi in testa.

I RÉPUBLICAINS, che sono in netto declino, non hanno invece dato nessuna indicazione di voto: già una parte (con Ciotti) si è fusa nell’estrema destra, e l’altra mostra già le prime crepe (pensa a una coalizione all’italiana?). Attal, per tendere la mano alla sinistra ha “sospeso” nella notte l’applicazione del decreto di riduzione dei diritti dei disoccupati, che doveva entrare in vigore oggi.

LA FRANCIA CONFERMA la divisione in tre blocchi, con quello centrale in perdita di importanza. Ma il candidato a primo ministro di Rn, Jordan Bardella, vuole lo scontro diretto con la sinistra, che identifica con Lfi: ieri ha proposto un dibattito tv a Jean-Luc Mélenchon. Ma Mélenchon non è il candidato della sinistra a primo ministro e ha declinato.

Il Nfp non ha scelto una personalità per il momento e tra le forze che lo compongono c’è molta insofferenza su questa questione. «Me ne frego di Mélenchon», è esplosa la leader dei Verdi, Marine Tondellier, «l’importante è battere l’estrema destra». Per il segretario del Ps, Olivier Faure (eletto al primo turno), «l’ondata non è inevitabile», c’è ancora la possibilità di sconfiggere il Rn.

Marine Le Pen nella sede del Rassemblement National a Henin-Beaumon
Marine Le Pen nella sede del Rassemblement National a Henin-Beaumont, foto Getty Images

MOLTE LE REAZIONI dall’estero. Per la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, «nessuno può restare indifferente», Germania e Francia «hanno una responsabilità comune» in Europa. Lo spagnolo Pedro Sánchez punta alla «speranza nella mobilitazione della sinistra francese».

Mentre la Russia di Putin «segue da vicino» il voto e si rallegra che «le preferenze già appaiono chiare»: Thierry Mariani, del Rn, ieri era a Mosca (futuro ministro degli Esteri?).