Tiago Rodrigues
Europa

Tiago Rodrigues: «La cultura deve diventare forza di resistenza»

Tiago Rodrigues

Intervista Il direttore del Festival di Avignone organizza una serata di mobilitazione: "C’è un silenzio che sembra una rinuncia a quel progetto comune europeo per cui la diversità linguistica, culturale e politica sono fattori determinanti. E fondatori"

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 2 luglio 2024

Sabato scorso ha debuttato ad Avignone il più grande festival francese di teatro e arti performative e uno dei più prestigiosi al mondo. L’inizio ha quasi coinciso con il primo turno delle elezioni legislative in Francia.

Tiago Rodrigues, regista e direttore del Festival di Avignone dal luglio del 2021, insieme a Boris Charmatz, coreografo e direttore del Tanztheater Wuppertal Pina-Bausch e Terrain, qualche giorno fa ha firmato un intervento su Libération, in cui esprimeva la sua perplessità per il silenzio della maggior dei candidati alle elezioni europee nei confronti della cultura e delle arti: un silenzio ignorante sul «contributo fondamentale della vita culturale e della creazione artistica al progetto europeo».

Lo abbiamo sentito ieri, con i risultati del primo turno già squadernati, mentre già organizzava una notte di mobilitazione prima del secondo turno: una serata di «pensieri, dibattiti, discorsi e gesti artistici», con tante personalità in programma.

Lei parla delle necessità per l’Europa di creare una nuova narrazione al fine di tenere in vita i suoi valori fondativi ma anche di crearne di nuovi. Vuole parlarcene?

Da parte dei rappresentanti della politica c’è stato un silenzio assordante riguardo al contributo necessario dell’arte e della cultura, un silenzio che sembra una rinuncia a quel progetto comune europeo per cui la diversità linguistica, culturale e politica sono fattori determinanti. E fondatori.

Insieme a Boris Charmatz ci siamo chiesti come fosse possibile opporsi a questo silenzio e come fosse vitale non rinunciare al valore della libera circolazione delle idee e a quella ricchezza che generano le appartenenze plurali. La mia: portoghese e francese e quella di Boris Charmatz, tedesca e francese.

Penso continuamente a come sia fallace l’idea del “tempo che resta” di cui parla Patrick Boucheron, a come sia urgente combattere l’ineluttabilità che dimora alla radice di questa idea. Di una catastrofe imminente. È per allertarci o abituarci all’idea? Sono convinto che nuove narrazioni possano nascere grazie all’esercizio del pensiero che alimenta gli immaginari, che guarda anche alle utopie, che guarda alle diversità come a delle risorse da cui attingere per proporre visioni nuove che fuggono dalla semplificazione del reale.

La Francia ha rappresentato per molti paesi il luogo di rifugio dalle dittature europee del secolo scorso. Penso agli esuli italiani durante il ventennio fascista ma anche a quelli portoghesi che hanno trovato accoglienza prima della Rivoluzione dei garofani in Portogallo. Di fronte all’avanzata dei partiti di estrema destra in tutta Europa, Francia compresa, cosa può l’arte?

Mio padre, giornalista, negli anni Sessanta, è stato costretto a lasciare il Portogallo e la dittatura di Salazar trovando nella Francia un paese d’accoglienza. I risultati prima delle europee e poi del primo turno delle legislative cosa ci raccontano della Francia odierna? Ne abbiamo parlato domenica in seno al “Café des Idées” del Festival, quando insieme a Claudio Longhi, regista e direttore del Piccolo di Milano ed altri, ci siamo interrogati sulla possibilità che la cultura possa e debba diventare forza di resistenza.

Proveremo a rispondere a questo interrogativo anche durante La Nuit d’Avignon che abbiamo organizzato per giovedì prossimo nel cortile del Palazzo dei Papi in collaborazione con il comune di Avignone, gli enti locali che sostengono il Festival, i sindacati e la collettività tutta. Sarà una serata in cui dibattere insieme e sostenerci nel proposito di faire barrage contro l’estrema destra, per contribuire a una mobilitazione democratica.

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«Hécube, pas Hécube» è la sua ultima pièce, in scena fino al 16 luglio alla Carrière de Boulbon al Festival di Avignone, in collaborazione con la Comédie française.

Amo questa tragedia fin da quando la lessi da ragazzo. Parla della collera materna e della sua potenza. L’ho scritta partendo da Euripide; e dal mio presente: che parte da Génève, dall’esperienza incarnata di un’attrice di Dans la mesure de l’impossible e dallo scandalo che si è sollevato attorno al maltrattamento di bambini autistici in una casa di cura pubblica in Svizzera. La mia opera parla della vulnerabilità. Di come l’arte può consolarci ma anche accompagnarci a cercare la giustizia.

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