Donald Sassoon è professore emerito di storia europea comparata al Queen Mary College, University of London. Tra le sue opere principali figurano monumentali storie comparate del socialismo europeo e dei consumi culturali. Il titolo provvisorio del suo ultimo lavoro è Revolutions (Verso), attualmente in corso di traduzione per Garzanti.

Lo storico Donald Sassoon
Lo storico Donald Sassoon

Professore, sono almeno quindici anni che si sta compiendo questa lunga marcia della famiglia Le Pen verso il potere in Francia: è arrivato il momento che si temeva?

Marine Le Pen è sempre andata avanti, naturalmente spostandosi verso il centro, ha continuato aumentare da quando suo padre Jean-Marie aveva battuto Jospin (2002, ndr). È un partito che continua ad avanzare, anche se siamo ancora lontani dal cosiddetto ultimo atto. È più probabile che al secondo turno ci ritroveremo con un Parlamento senza maggioranza assoluta.

È un periodo di incertezza per la Francia e considerando il peso della Francia in Europa di incertezza per l’Europa, cui hanno contribuito altri paesi importanti come l’Italia con Giorgia Meloni e la Germania, dove ormai il partito di estrema destra, molto più a destra sia di Meloni che di Marine Le Pen e cioè AfD, ha battuto i socialdemocratici alle europee. Senza contare l’avanzata della destra in Austria e in Olanda e anche in Gran Bretagna, dove sono tutti d’accordo che questo giovedì alle elezioni vincerà certamente il Labour Party.

Come giudica la ripulitura moderata del truculento partito di Jean-Marie?

Credo sia inutile fare questo tipo di paragoni perché un nuovo partito deve trovare la sua “fetta di mercato.” Quella del padre di Marine Le Pen e di altri come Tixier-Vignancour negli anni Sessanta era l’estrema destra, cioè la Francia tradizionale anticomunista: sarebbero stati monarchici se ci fosse ancora questa opzione.

Una volta conquistata questa fetta, il 10, 15, 20% al massimo, non si può fare altro che muoversi verso il centro, soprattutto in un sistema politico come quello francese che in fondo è un sistema a due partiti, un po’ come quello inglese, temperato dal fatto che si vota la prima volta chi si vuole, la seconda volta per i meno peggio.

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Anche alle recenti europee c’è stato uno spostamento a destra, ma le destre hanno comunque un forte coefficiente nazionalista. Come vede la tensione fra europeismo e nazionalismi?

Questo conterebbe molto se i 27 Stati nazione in Europa avessero un peso molto forte verso l’Unione stessa. Ma l’Unione Europea ha dei meccanismi relativamente deboli rispetto ai poteri dello Stato-nazione. Il potere più forte dello Stato nazione è quello fiscale, seguito dalla politica estera e poi la politica del welfare.

Queste tre politiche sono europee a livello di Stato nazione e non fanno parte del sistema europeo: uno può essere un convinto nazionalista e nello stesso tempo essere filo europeo. De Gaulle ne era l’esempio più chiaro, era patriottico ed era nazionalista; allo stesso tempo, non mise mai in discussione l’Europa perché pensava che comunque la Francia vi avrebbe giocato un ruolo egemone approfittando dell’impossibilità che la Germania facesse altrettanto.

Questa spinta del baricentro a destra non è il risultato della più o meno universale adesione da parte di tutte le maggioranze di centrosinistra o centrodestra europee alle politiche neoliberali?

Sono sempre stato un po’ scettico nei confronti di questa definizione, intesa più o meno nel senso di voler ridurre il peso dello Stato. Nella politica pratica è impossibile andare avanti con sempre meno Stato, soprattutto di fronte a difficoltà economiche: ogni Stato cerca di difendere la propria economia e così facendo deve per forza intervenire. In questo senso non agisce in modo neoliberale, se vogliamo lo fa in senso pro capitalista, ma ormai sono tutti pro capitalisti, che siano di centro o di sinistra.

Il problema principale è cosa debba fare un partito pro capitalista per salvare o aiutare proprio i capitalisti, soprattutto in un’Europa divisa tra 27 stati in un mondo che vede la difficoltà dell’Europa di intervenire nei due principali conflitti internazionali di oggi, cioè quello del Medio Oriente e quello russa Ucraina o di contrastare l’ascesa della Cina nel mercato mondiale.

Trump possiamo davvero definirlo neoliberale quando cerca di mettere il massimo di protezionismo di tariffe sugli import della Cina? Io ho sempre sostenuto che avere un approccio liberale verso il proprio capitalismo dipende da dove ti trovi nel sistema mondiale. E qui c’è un’ipocrisia di massa: gli Stati Uniti avevano delle barriere doganali nell’Ottocento più forti di qualsiasi altro Paese eccetto la Russia zarista. Quando sono poi arrivati a essere il primo paese industriale al mondo hanno cambiato linea e sono diventati difensori del free trade.

Il politico cerca una giustificazione ideologica a quanto ha già fatto nella contingenza. Secondo me i limiti di manovra di un governo di destra in economia sono limitati come quelli della sinistra. Per questo i partiti di destra sono ossessionati dall’immigrazione o dai diritti civili.

Possiamo dire che il campo dei diritti civili sia l’unico territorio che distingue il centrodestra dal centrosinistra perché è l’unico dove c’è un effettivo scontro “di civiltà” fra i due?
Magari ci fosse uno scontro, non c’è proprio. I partiti di centrosinistra cercano di andare timidamente verso forme di diminuzione dei diritti civili perché hanno paura dell’avanzata della destra.

La battaglia frontale molto forte che ci dovrebbe essere ma non c’è è ovviamente quella sull’ambiente, perché una politica che difende l’ambiente è necessariamente una politica restrittiva per i consumi.

La base del capitalismo moderno è non solo il consumo individuale, ma la promessa che questo possa continuare eternamente. Per questo sia Sunak che Starmer, come i loro omologhi, continuano a martellare sulla crescita.

Donald Sassoon
I diritti civili unico terreno rimasto di vero scontro? Magari ci fosse uno scontro, ad esempio sull’ambiente: la base del capitalismo è la promessa che i consumi continuino eternamente

Il movimento verso destra dell’Europa ne influenzerà la subordinazione nei confronti degli Stati Uniti rispetto alla Nato?

Non si capisce bene che funzioni possa avere la Nato. Venticinque anni fa scrissi un pamphlet per un think tank di centrosinistra in cui dicevo che dovevamo assolutamente sbarazzarcene, perché mantenere la Nato, o addirittura allargarla, non poteva che incentivare il nazionalismo in Russia. E mentre qui si continua a parlare della Nato, Donald Trump torna all’isolazionismo pre-seconda guerra mondiale.

C’è stato un grande aumento dell’affluenza alle urne in Francia. Secondo lei ci sarà una risposta altrettanto incoraggiante a livello di affluenza nelle elezioni britanniche?

Non credo. Ormai è sicuro che il Labour party vincerà le elezioni e il sistema elettorale che abbiamo non incoraggia ad andare alle urne perché nella maggioranza delle circoscrizioni il risultato è comunque certo. L’affluenza aumenterà forse nei marginal seats, i collegi incerti.

C’è poi un altro fatto che distingue queste regioni britanniche dalle altre e che aumenta le difficoltà del partito conservatore. Mentre per il Labour Party è abbastanza semplice, basta spostarsi verso il centro, i conservatori di Sunak devono fare fronte a Reform Uk, il partito di estrema destra di Farage verso il quale hanno perso tutte le elezioni europee e dunque dovrebbero spostarsi a destra; ma facendolo rischiano di perdere voti sia verso i liberali che verso il Labour.