Toni Negri, il manifesto, gli anni Settanta. Cronaca di una discussione
Assemblea Dopo le critiche sul modo in cui abbiamo trattato la figura del filosofo-militante in occasione della sua scomparsa, in un'assemblea si sono ritrovate le voci e le generazioni di questo giornale
Viviamo in tempi di flame rabbiosi e istantanei sui social e bolle che balcanizzano le discussioni e rendono molto difficile il dialogo. E allora, quando sono emerse alcune divergenze con alcuni compagni e compagne storiche del manifesto a proposito del giornale dello scorso 17 dicembre dedicato alla scomparsa di Toni Negri, abbiamo scelto una strada in ostinata controtendenza: convocare un’assemblea. Per discutere, scambiarsi informazioni e punti di vista, mettere in comune esperienze.
Quest’incontro è avvenuto lo scorso 11 gennaio, nella nostra redazione di via Bargoni. Nella stanza dei caporedattori si sono strette una accanto all’altra le diverse generazioni del manifesto. «Questa direzione ha il compito di non sfuggire alle polemiche. Dunque, anche le critiche dure sono un indice di vitalità», è la premessa di Andrea Fabozzi. Assieme a lui, ha dato il benvenuto anche Massimo Franchi, a nome del Cda. E c’era anche Tommaso Di Francesco, che era assieme a Luciana Castellina quando, nel 1969, il gruppo del manifesto venne radiato dal Pci.
APRE IL DIALOGO a più voci quest’ultima, una delle promotrici della lettera che ha dato il via alla discussione.
La redazione consiglia:
Il manifesto e Potere operaio: un confronto che faremoPrecisa subito che il dissenso su come abbiamo scelto di raccontare la figura di Negri «non è generazionale». «La commemorazione di Toni Negri è apparsa così forte da apparire come identità del giornale – è la preoccupazione di Luciana – Per questo sentiamo il bisogno di momenti di collegamento che ci riportino a posizioni più comuni».
Tocca a Famiano Crucianelli esplicitare ulteriormente. Con un avvertimento: nessuno ha l’intenzione di ristabilire qualche ortodossia o omogeneizzare la «ricchezza della pluralità», la biodiversità propria delle culture politiche che attraversano il giornale. «Già il gruppo originario del manifesto aveva una sua pluralità interna – precisa Famiano – Non era un gruppo bolscevico, c’era una dialettica fortissima. Non a caso ci sono state discussioni e rotture negli anni: ma ciò non ha mai rappresentato la desertificazione di una storia comune».
Poi ricorda le posizioni dei deputati del Pdup in occasione degli arresti del 7 aprile: «Votammo contro leggi emergenza e contro l’arresto di Negri. Girammo le carceri speciali per avere un dialogo con quei compagni. Demmo una mano a tirar fuori dal carcere anche Oreste Scalzone, afflitto da problemi di salute». Ma l’impressione di Famiano è che «per il ricordo di Negri si sia avvertita una semplificazione che rappresenta un torto a lui stesso: è apparso come un intellettuale e un filosofo sofisticato, ma è stato e si è sempre definito un militante politico».
Da qui discende che avremmo mancato di evidenziare «la concretezza politica di quella storia: ciò che è avvenuto dalla metà degli anni Settanta in poi. L’errore del compromesso storico da una parte e la germanizzazione del paese per cui il movimento si infilò in un angolo». Il nodo è tutto politico e per certi versi ancora attuale, dal momento che «le condizioni soggettive perché possa maturare l’alternativa non sorgono spontaneamente».
LA PAROLA va a Massimo Anselmo, compagno del manifesto napoletano. «Negli anni Settanta stava avvenendo una mutazione dei rapporti di forza tra le classi e internazionali che ad esempio Lotta continua, dalla quale provenivo, non riusciva a leggere – racconta – Cosa che invece faceva il manifesto. Oggi bisogna capire come è cambiata la pelle del produttore. Dobbiamo essere elemento collettivo di inchiesta sociale».
È vicino a questo giornale fin da allora anche Maurizio Iacono. Il quale ricorda di aver chiesto lui stesso a Negri, nel 1983, di scrivere dalla galera un articolo per il manifesto sul centenario della morte di Marx. Oggi accoglie la sfida dell’innovazione delle categorie di lettura, ma avverte il pericolo che anche la teorica critica sia digerita dal sistema. «C’è un grande revival internazionale di Marx – afferma – Ma bisogna stare attenti a non avere nessuna nostalgia. Non bisogna tornare indietro. Siamo in un’epoca in cui sembra si sia persa la profondità, tutto sembra giustapposto in superficie: persino le forme eversive sono compatibili. Abbiamo bisogno di trovare un Uno nuovo di fronte a un Molteplice sparso che il neoliberalismo ha dimostrato di riuscire a riassorbire».
NEL GIRO di pochi interventi siamo arrivati alle sfide contemporanee.
Marco Bascetta sottolinea che questo sguardo ha animato il giornale in occasione della scomparsa di Negri. «Gran parte degli autori hanno lavorato con Toni nella fase del cosiddetto postoperaismo – argomenta – A partire dagli anni Novanta, Toni diventa militante in un altro modo». È il Toni Negri dell’inchiesta metropolitana, del postfordismo e delle nuove forme di produzione. «Toni nella sua vita è stato molte cose – prosegue Marco – è stato cattolico, poi socialista, ha vissuto in un kibbutz, poi operaista – Noi abbiamo pensato fosse utile raccontare la fase in cui interloquì con i nuovi movimenti. Possiamo dire che da cattivo maestro era divenuto buono scolaro dei movimenti».
Questa fase, durata fino a oggi, quasi trent’anni, è anche quella che accompagna l’emersione di Negri sulla scena globale. «Il lavoro teorico del Negri della quadrilogia con Michael Hardt da Impero in poi, anticipata da Il lavoro di Dioniso edito da manifestolibri, ha avuto una risonanza in tutto il mondo che per un intellettuale comunista italiano è un caso più unico che raro – constata Marco – Per trovare un fenomeno analogo dal punto di vista della diffusione planetaria forse bisogna tornare a Gramsci. Dunque, non è si trattato solo di raccontare un personaggio, ma di dar conto di un fenomeno teorico politico vasto».
Più vasto è divenuto anche l’orizzonte di questo giornale, nel corso di questi decenni. «In una storia lunga – sostiene Marco – Entrano più persone e anche altre correnti. Il solco tracciato da Romolo ha importanza fondativa, ma Roma negli anni è andata oltre quel solco, è cresciuta».
A PROPOSITO di decenni, Giansandro Merli propone uno sguardo dal punto di vista della sua generazione, cioè di quelli che sono nati negli anni Ottanta. «Siamo stati giovani in periodi diversi e abbiamo conosciuto Toni in momenti diversi – premette – Io l’ho conosciuto nel 2009, in un’assemblea cui partecipavano la Fiom, l’Flc, sindacati di base, studenti, centri sociali». Per Giansandro, il manifesto dello scorso 17 dicembre ha marcato la differenza con tutti quelli che non accettano che «uno degli intellettuali italiani più noti al mondo sia un comunista e lo sia stato fino alla fine». «Quel giornale con Negri in copertina ha venduto molto – sostiene – Se dovessi trovarci un limite direi che forse non abbiamo spiegato abbastanza quanto la sua opera sia discussa dappertutto nel pianeta».
Per i compagni che sono venuti a trovarci in redazione, il giornale ha commesso soprattutto l’errore di «semplificare» la complessità delle vicende degli anni Settanta.
Ciò emerge, sostiene Vincenzo Vita, dal commento in prima pagina affidato a Paolo Virno (uno che su molte cose con Negri non era d’accordo, a cominciare dall’inesauribile ottimismo antropologico del Professore). Il suo testo contiene un inciso molto duro contro «una canaglia dell’antico Pci», a proposito della persecuzione giudiziaria contro i movimenti.
«Il Pci ha avuto luci e ombre: il 7 aprile è un’ombra, e lo abbiamo segnalato – replica Andrea Colombo – Certo, si poteva fare una discussione storica, ma forse non era il momento. Si può sempre fare, senza andare a cercare le ragioni o i torti di quella che fu non soltanto la sconfitta di una battaglia ma la guerra perduta».
Andrea inquadra i fatti della seconda metà degli anni Settanta nel contesto della grande sconfitta: «Sarebbe sproporzionato parlare solo degli errori di Negri, che pure ci furono. Allora lo avvertivamo tutti, anche il Pci cercava vie di uscita. Eravamo fortissimi ma capivamo che stavamo per perdere. Il Toni dirigente politico fu uno dei pezzi di questa sconfitta, non il responsabile».
PER ROBERTO Ciccarelli la scelta del manifesto, su spinta soprattutto di Rossana Rossanda, di intraprendere in solitaria una campagna garantista in occasione dei processi del 7 aprile rappresenta un punto di svolta politico-culturale che ha proiettato il giornale nel futuro, oltre quegli anni Settanta. «Questo giornale nel 1979 creò un caso politico-giornalistico – ricorda Roberto – Lo fece contestando l’impianto di quel processo e la cultura giuridica che lo aveva ispirato. Lo fece trasformandosi e diventando il giornale che aspira a parlare alla sinistra intera e quindi all’intera società. Fu un momento fondativo».
Poi Roberto racconta un retroscena dell’intervista che fece a Toni Negri lo scorso luglio, in occasione dei suoi novant’anni. «Quella discussione poteva avere tagli diversi- ricorda Roberto – Ma fu lui a propormi di farla sul suo rapporto con il manifesto. Il che fa capire l’affetto che nutriva verso questo giornale e per Rossanda, con la quale ebbe un rapporto che diventò critico e anche molto duro, come accade tra comunisti». Racconta anche del 1997, di quando aveva scelto di tornare in Italia, in prigione, perché era convinto che da quella posizione avrebbe strappato l’amnistia per gli anni Settanta: «Fu in quell’occasione, prima di tornare, che Rossanda gli disse: ‘Non partire, è una trappola’. Proprio lei, che quindici anni prima gli aveva contestato la scelta di riparare in Francia».
In mezzo a questo rovesciamento, e a questo rapporto tra due grandi intellettuali e militanti politici, c’è il manifesto. «Toni da comunista ha letto in chiave politica il suo rapporto con questo giornale – conclude Roberto – Il che ci offre l’occasione di discutere del manifesto del presente e del futuro».
«NOI FACCIAMO un quotidiano – dice Andrea Fabozzi ponendo la critica e la discussione come attitudini permanenti – E facendolo ci sottoponiamo ogni giorno al giudizio di tutti: degli amici e dei compagni, ma innanzitutto di un pubblico vasto. Non abbiamo nessun interesse a chiuderci alla critica e certamente abbiamo ogni giorno tante cose di valore ma anche tante lacune. Viviamo del resto tempi difficili da leggere e raccontare, con di fronte a noi la peggiore destra e proprio il fatto che sia arrivata al governo è un’altra prova dei nostri limiti. Per questo che le vostre critiche, che non abbiamo condiviso, siano arrivate sulla memoria di Negri ha favorito l’impressione che si trattasse solo di discussione interna. Non può essere così e vi invito a starci addosso anche su altre questioni».
Luciana Castellina rievoca i momenti delle divisioni con Negri. Come sui consigli di fabbrica: il manifesto gli attribuiva una funzione positiva, di pungolo al sindacato, per Potere operaio erano uno strumento riformista. E avverte: «Non siamo un giornale come gli altri, nasciamo dalla critica al giornalismo e dal rapporto passivizzante tra chi scrive e chi legge».
Del resto, in quale giornale come gli altri ci sarebbe stata una discussione del genere?
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