Caterina, 70 anni, nel villaggio di Borodyanka in Ucraina, foto Emilio Morenatti /Ap
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Negli eco-villaggi ucraini una rete per l’accoglienza

Caterina, 70 anni, nel villaggio di Borodyanka in Ucraina – Emilio Morenatti /Ap

Iniziative Il progetto Green Roads coinvolge ottanta eco-villaggi che offrono un riparo a chi sta scappando. Sono stati attraversati da un flusso di 3500 persone

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 3 novembre 2022

All’indomani del 24 febbraio erano già centinaia di migliaia gli ucraini in fuga alla ricerca di luoghi più sicuri, all’estero o nelle campagne. Chi per conoscenza, chi per caso, chi per disperazione, arrivava con una valigia in mano e il terrore negli occhi in posti remoti dai nome suggestivi come Zeleni Cruchi (Colline verdi), Tepla Gora (Montagne calde), Zhyva Kahta (Casa della vita), con il bagno secco all’esterno e i pannelli solari sul tetto, l’orto biodinamico e l’impianto di biogas domestico, il focolare e i riti. Luoghi abitati da chi, da un tempo più o meno lungo, attraverso il rapporto con la terra e la vita di comunità insegue il sogno di una vita in armonia con la natura e l’umanità. Molto velocemente fra queste realtà già parte della rete pre-esistente di GEN- Ukraine, la rete degli ecovillaggi ucraini, si è creato un coordinamento ed è apparsa una prima mappa di posti disponibili all’accoglienza distribuiti in tutto il paese.

IN QUESTI LUOGHI DALLE CONDIZIONI modeste c’era bisogno di tutto: cibo, vestiti, medicine, materassi, stufe, attrezzi. Altrettanto velocemente si è costituito un gruppo dedicato al recupero di risorse da inviare dove ci fosse bisogno. Con l’intervento di GEN Europe, la rete europea di ecovillaggi, questo meccanismo di solidarietà si è esteso e rafforzato: la mappa delle località rifugio si è allargata ad alcuni paesi europei, fra cui anche l’Italia, e tutta una serie di realtà internazionali hanno dato inizio a raccolta di fondi e invio di risorse umane e materiali.

E’ NATO COSI’ IL PROGETTO Green Roads (www.gvix.org/greenroad), così chiamato perché durante il primo mese di guerra gli ecovillaggi erano per molte persone tappe sicure di un percorso che li portava altrove, anche in altri paesi. Un progetto poi diventato in continua evoluzione secondo l’aumento delle località ospitanti, le oscillazioni dei flussi migratori, l’andamento della guerra che non rendeva più sicure alcune zone, l’occupazione dei territori.

GLI ECOVILLAGGI UCRAINI che sono entrati a far parte della rete Green Roads sono un’ottantina e sono stati attraversati da un flusso di 3.500 persone. Una volta soddisfatti i bisogni più urgenti e intuendo che la guerra non sarebbe terminata presto, all’interno del coordinamento si è cominciato a ragionare in una prospettiva più a lungo termine, avendo come obiettivi prioritari la sicurezza alimentare e il miglioramento delle condizioni abitative e di trasporto.

OLTRE A CIBI E VESTITI SONO STATI acquistati e distribuiti attrezzi per l’agricoltura per intensificare i raccolti e materiali edili per risistemare pozzi, istallare pannelli solari e vasche per la raccolta dell’acqua piovana. Si è pensato anche alla mobilità; gli ecovillaggi in Ucraina spesso si trovano in luoghi isolati, le abitazioni sono distanti fra di loro e le strade non sono affatto in buono stato.

ECCO, QUINDI, GEN UKRAINE lanciare un progetto di riciclo di biciclette. Recuperate in Danimarca e Paesi bassi, dove le biciclette usate sono tantissime e hanno un costo di smaltimento, vengono inviate in Ucraina, dove sono riparate, in alcuni casi elettrificate in maniera molto economica e circolare, e distribuite negli ecovillaggi. Ma non solo: nella città di Leopoli è stata creata un’officina di riparazione dove i rappresentanti di diversi ecovillaggi possono imparare la tecnica e applicarla nei rispettivi luoghi di provenienza, esportando e diffondendo così una pratica di mobilità sostenibile.

A MODO LORO IN TOTALE AUTONOMIA, gli ecovillaggi hanno affrontato anche i bisogni psicologici dei fuggitivi. Con uno sforzo organizzativo enorme la piccola comunità di Zhyva Khata, sui monti Carpazi, dove grazie ai pannelli solari vivono in totale indipendenza energetica, ha offerto a più di duecento bambini provenienti da famiglie sfollate, dei campi estivi dove giocare, fare scuola alternativa, fare campeggio ed escursioni, sedere accanto al fuoco, comunicare con gli animali, dimenticandosi per un attimo della tragedia in corso.

IN DIVERSI ECOVILLAGGI, anche con l’aiuto della professionalità di alcuni dei profughi stessi, sono stati attivati sportelli di ascolto e gruppi di confronto e supporto psicologico. Si è investito anche nella costruzione o allargamento di sale e cucine comuni dove passare tempo insieme, per integrarsi nella vita di comunità e recuperarsi dai traumi. All’interno del meccanismo della comunità nessuno è stato lasciato da solo. A quasi 8 mesi dall’inizio della guerra è chiaro che per l’Ucraina si prospetta ancora un periodo duro, con possibili escalation del conflitto e la minaccia della carenza di carburante e di elettricità.

CIRCA 500 PROFUGHI HANNO DECISO di rimanere, per l’inverno quando non per sempre, negli ecovillaggi ucraini e per molti di loro è necessario adeguare le abitazioni per le rigide temperature in arrivo: c’è bisogno di legna, materiali da isolamento, nuove finestre e poi acqua corrente, fognature. Il crow-founding attivato da GEN Europe continua, nel villaggio di Busha, vicino al confine con la Moldavia: sono riusciti ad acquistare una Yurta che potrà ospitare le 30 persone che non hanno ancora un’abitazione adeguata, e nel frattempo sono stati raccolti i fondi per costruire nuove 20 case in bioedilizia. Ma le richieste sono tante, e per coprirle tutte c’è bisogno ancora di molto aiuto. E purtroppo non si esclude che arriveranno nuovi profughi.

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