Negazionismo e inazione, la tempesta è servita
Clima Appena dopo aver subito l’incendio più grande nella storia d’Europa, la Grecia è stata colpita dal ciclone Daniel che ha allagato un’area di mille chilometri quadrati. Secondo l’Istituto per la […]
Clima Appena dopo aver subito l’incendio più grande nella storia d’Europa, la Grecia è stata colpita dal ciclone Daniel che ha allagato un’area di mille chilometri quadrati. Secondo l’Istituto per la […]
Appena dopo aver subito l’incendio più grande nella storia d’Europa, la Grecia è stata colpita dal ciclone Daniel che ha allagato un’area di mille chilometri quadrati. Secondo l’Istituto per la protezione idrogeologica del Cnr (Irpi), situazioni analoghe si sono registrate anche in Spagna, Turchia, Bulgaria Brasile e Cina. «Previsioni accurate 2 giorni prima hanno evitato una catastrofe in termini di vite umane» commenta in un tweet l’Irpi. Questa catastrofe in corso si aggiunge a tutta una serie di parametri climatici che sembrano accelerare in questi ultimi tempi.
Basta guardare alla temperatura alta dell’Oceano Atlantico e ai picchi record di caldo sia estivi che invernali nell’emisfero australe. Come ha affermato il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres «l’era del riscaldamento globale è finita, siamo nell’era della bollitura globale».
In questo contesto di aggravamento della crisi climatica vediamo un attacco, sul piano internazionale, delle destre all’ambientalismo. E registriamo una ondata di negazionismo dal più cialtrone di certe testate a quello, più sfumato, di governo. Come emerge dall’indagine commissionata da Greenpeace all’Osservatorio di Pavia, la comunicazione del governo (dalla premier Meloni ai ministri Salvini e Pichetto Fratin) nei primi mesi di quest’anno si è caratterizzata per una marcata attenzione alla sovranità nazionale rispetto alle politiche energetiche (anche in aperto contrasto con le posizioni dell’Unione europea), e per evidenziare le forti resistenze alla transizione (come lo stop alla vendita di auto a benzina e diesel entro il 2035).
A questo si aggiunge una campagna, anche su base regionale e locale, contro le rinnovabili, dalla Sardegna alla Toscana, sulla base di argomentazioni risibili. Del resto, questa campagna anti rinnovabili era già partita dieci anni fa dall’allora ad di Eni Scaroni, oggi nominato dal governo a presidente di Enel che invece dal 2014 aveva avuto una svolta industriale positiva verso le rinnovabili.
Così la strategia di “inazione climatica” del governo – la cui bozza di decreto sulle “aree idonee” per le rinnovabili pare fatta per bloccarle invece che per promuoverle -, il negazionismo d’accatto di parte della stampa, una insulsa campagna contro le rinnovabili e il tentativo di riaprire al nucleare sembrano proprio mirati al mantenimento dello status quo fossile.
Il recentissimo secondo “stress test climatico” della Banca Centrale Europea ha dimostrato come una transizione verso le rinnovabili più lenta metta a rischio la stabilità finanziaria europea. E che, al contrario, una transizione più rapida abbia un impatto economico positivo sia sulle aziende, che sulle famiglie e il sistema bancario. Sconfessando quella linea di “resistenza fossile” ben impersonata dall’allora ministro Cingolani che blaterava di “lacrime e sangue” a difesa dei vecchi settori fossili come la produzione di auto diesel. E, va aggiunto, una transizione più rapida consente di avere una transizione più giusta: se non si creano nuovi posti di lavoro nei nuovi settori – dalle rinnovabili agli accumuli, dalla mobilità elettrica all’edilizia sostenibile – sarà più difficile riconvertire lavoratori e lavoratrici dei settori che, comunque, andranno in declino.
Il governo pare più interessato a rilanciare il nucleare “sostenibile” che sarà pronto tra dieci anni (secondo il ministro Salvini). E non è solo il governo a blaterare a vanvera di nucleare: anche l’opposizione di Calenda, che prevede 30 reattori in 30 anni, non scherza. E neppure l’ad di Eni Descalzi che, davanti al Copasir, qualche mese fa ha dichiarato che avremo la tecnologia di fusione nucleare su cui investono in pochi anni e che il combustibile necessario è abbondante (peccato però che il trizio che serve alla fusione sia invece pochissimo).
Guardando le pesantissime difficoltà dell’industria nucleare francese e americana, si potrebbe commentare ognuna di queste dichiarazioni con un’espressione romana “è arrivato Cacini”, una sbruffonata. Che sembra coerente con la strategia di sviare il discorso sulla transizione, con l’unico risultato di difendere il ruolo e il mercato del gas e del petrolio.
*direttore Greenpeace Italia
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