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Navalny, il suo “martirio” e la retorica del potere in Russia

Navalny, il suo “martirio” e la retorica del potere in RussiaAlexei Navalny a una manifestazione a Mosca nel 2019 – Getty Images

Il corpo di Navalny In un paese illiberale come la Russia, insomma, Navalny era capace di esercitare una limitata influenza. Eppure il Cremlino ha fatto di tutto affinché la sua vita si concludesse con un epilogo tragico

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 20 febbraio 2024

Almeno due cose della morte di Aleksej Navalny meritano di essere storicizzate con uno sguardo di più lungo periodo.

La prima è la sproporzionalità degli strumenti repressivi usati dal regime di Putin rispetto alla pericolosità dei suoi avversari politici. È questo un tratto caratteristico del potere in Russia almeno dalla fine del XIX secolo.

Il tardo zarismo, infatti, creò un apposito sistema repressivo per una sparuta minoranza di militanti politici capaci di gesti eclatanti ma con scarsissimo seguito tra le masse. Lo stesso avvenne, con caratteri totalitari, durante il Grande terrore staliniano che rispose alla necessità di mobilitare l’intera società sovietica piuttosto che a quella di liquidare gli irrilevanti avversari, già sconfitti, interni al regime.

Anche l’élite putiniana riadatta queste logiche e pratiche politiche, perché proviene per buona parte dagli “ambienti della forza” e anagraficamente è cresciuta nel tardo socialismo brezneviano, ossessionato a sua volta da preoccupazioni securitarie.

Oggi il Cremlino colpisce i suoi oppositori o antagonisti con una ferocia sproporzionata rispetto ai reali pericoli. Si veda ad esempio la morte di Prigozhin, battuto nella sua battaglia contro Mosca e marginalizzato, ma non per questo risparmiato. Oppure Nadezhdin, deciso a candidarsi pur senza possibilità di vincere la sfida presidenziale e comunque obbligato a desistere.

Passiamo a Navalny. Egli era senz’altro l’oppositore di Putin più famoso in Occidente, pur tuttavia è complesso ritenerlo leader unico di un’opposizione frammentata, esule e spesso litigiosa.

Pure durante le manifestazioni del 2011-12, era stato uno dei protagonisti di quei giorni ma non l’unico, e non necessariamente quello riconosciuto da una piazza eterogenea come il “federatore”.

In un paese illiberale come la Russia, insomma, Navalny era capace di esercitare una limitata influenza. Eppure il Cremlino ha fatto di tutto affinché la sua vita si concludesse con un epilogo tragico e nel più breve tempo possibile, prima avvelenandolo e poi destinandolo a una durissima detenzione.

La seconda questione, che deriva dalla prima, è la mistica politico-religiosa propria del martirio scelto, o subito, dagli oppositori politici russi.

Dal XIX secolo, a parte qualche breve intermezzo, in Russia la lotta politica non è avvenuta secondo canoni riconducibili a paesi democratici. Come il suo precedente tardo-zarista e sovietico (fatta eccezione per gli ultimi anni della perestrojka), anche il putinismo costringe i dissidenti a esprimersi tramite eclatanti gesti individuali.

Di fronte a un vertice che chiude tutti gli spazi pubblici in nome della sacra inviolabilità del potere, i suoi oppositori non possono far altro che utilizzare la stessa retorica religiosa ed ergersi a redentori o martiri della “vera Russia”. Sono gesti disperati di una opposizione disperata, che non hanno alcuna reale possibilità di cambiare nell’immediato la situazione.

Il martirio di Navalny non può tradursi in una qualche mobilitazione di massa capace di far perdere le elezioni presidenziali a Putin, perché avviene in un contesto in cui il potere non è contendibile.  Non di meno oggi Navalny è diventato un potente simbolo contro il putinismo e la sua morte ha scosso le coscienze, proprio grazie alla retorica “religiosa” che domina da secoli la politica russa.

Accettando il suo calvario egli ha opposto al regime il proprio corpo, ed è proprio quest’ultimo a testimoniare la forza della sua battaglia politica di fronte alla società russa. Non è un caso, infatti, che il suo cadavere venga accuratamente occultato in queste ore dalle autorità: se dovesse trovare una degna sepoltura quel luogo potrebbe diventare il simbolo della lotta contro Putin.

È in questo senso che il martirio di Navalny ha acquisito una valenza simbolica politico-religiosa accessibile a milioni di russi abituati ad una grammatica politica intrisa di misticismo. È un santo, ripetono molti esponenti dell’opposizione proprio per arrivare con un messaggio semplice ai tanti russi stanchi della cappa autoritaria imposta dal regime, russi non necessariamente d’accordo con tutte le posizioni politiche di Navalny.

Da esponente di spicco di una sparuta minoranza e dalle non limpide referenze democratiche, oggi Navalny è diventato un martire del potere nonché uno dei tanti personaggi sacralizzati dalla dissidenza russa; come tale può essere usato da chiunque desideri una Russia senza Putin.

* storico (autore di “Nella Russia di Putin”, Carocci, 2023)

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