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Navalny: «È stato Putin». Mosca: «Servo della Cia»

Navalny: «È stato Putin». Mosca: «Servo della Cia»Alexei Navalny a Mosca, lo scorso anno – Ap

Russia Scambio di accuse dal Cremlino a Berlino. L'oppositore, in un'intervista a Der Spiegel, rincara la dose e attacca il presidente. In Russia arrivano le reazioni anche dei più moderati che parlano di auto-avvelenamento, magari con lo zampino occidentale

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 2 ottobre 2020

Navalny lavora per la Cia e non da oggi. La denuncia del Cremlino è arrivava ieri in mattinata sulle scrivanie dei giornali e ha fatto subito il giro del globo.

«Non è il paziente (Navalny n.d.r.) che lavora con i servizi speciali occidentali, ma i servizi segreti occidentali che lavorano con lui… In effetti, abbiamo tali informazioni. Posso anche dire che nello specifico: gli specialisti della Cia stanno lavorando con lui in questi giorni… e non è la prima volta che gli danno istruzioni», affermava perentorio Dmitry Peskov nel suo briefing dopo aver ricevuto i lanci delle agenzie sull’intervista a Der Spiegel in cui l’oppositore russo accusava direttamente Vladimir Putin di aver ordito il suo avvelenamento il 20 agosto scorso.

«Il presidente russo è stato personalmente coinvolto nel mio avvelenamento, poiché l’agente nervino novichok può essere utilizzato solo per ordine dei massimi vertici. Affermo che dietro questo crimine c’è Putin, non ho altre versioni immaginabili per quello che è successo. Un ordine per può provenire solo da due persone: il capo del fsb o da un servizio di intelligence straniero», aveva sostenuto il blogger nell’intervista facendo intendere di non credere alla seconda variante. Una tenzone, come si vede, in cui ormai il fioretto è stato mandato in soffitta, per la scimitarra.

Le affermazioni dei contendenti probabilmente non sono suffragate da prove ma danno l’idea di quando dietro ai protagonisti della querelle si agiti uno scontro senza esclusione di colpi.

L’intervista a Navalny, da questo punto di vista, sintetizza bene gli umori da nuova guerra fredda che si respirano a pieni polmoni in Europa. E Navalny intende esserne alfiere e cavallo di Troia al contempo: «Non tornare indietro significherebbe che Putin ha raggiunto il suo obiettivo. E il mio dovere ora è essere il ragazzo che non ha paura. Non farò un regalo del genere a Putin».

Un ritorno a Mosca magari con appuntato un premio Nobel per la pace sul petto, anche se qualcuno inizia a dubitare che tra qualche settimane il suo passaporto russo varrà ancora qualcosa. Lui ci crede e spara a zero sullo Zar: «Non voglio essere un “leader dell’opposizione in esilio”, sono un politico che chiede azione alla gente e che condivide lui stesso tutti i rischi. Dopo essere tornato in Russia, continuerò a gestire il mio canale youtube, viaggerò nelle regioni, soggiornerò in hotel e berrò acqua nelle stanze. Che altro fare? In ogni caso non si può fare molto contro gli assassini invisibili di Putin».

Difficile che troverà all’aeroporto Sheremetivo ad attenderlo tappetti rossi e l’orchestra. Il presidente della Duma Vyaceslav Volodin dopo aver letto l’intervista ha avuto parole di fuoco per lui. «Navalny è uno spudorato e un mascalzone. Putin gli ha salvato la vita. Se quello che gli è successo è stato organizzato dai servizi degli Stati occidentali, la sua dichiarazione si inserisce in questa logica».

Accuse che ormai non sono solo sulla bocca dei pasdaran putiniani ma anche di diplomatici compassati come Sergey Lavrov il quale sostiene che dietro la manina che ha fatto scivolare l’agente nervino sulla bottiglietta di Navalny non ci sia dietro nient’altro che qualche oscuro interesse occidentale. Quest’ultimo dal suo rifugio berlinese rilancia e dichiara di voler denunciare Peskov: «Gli do ampia facoltà di prova di dimostrare che sono un agente della Cia alla Tv» ha tuonato.

Da oltre oceano nel frattempo nessuna reazione alle accuse del Cremlino, ma il moscovita Vedomosti è convinto che la faccenda potrà diventar buona in uno dei prossimi faccia a faccia Trump-Biden.

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