Si svolgerà il 5 e 6 dicembre il processo d’appello sul «naufragio dei bambini», che costò la vita a 268 persone tra cui 60 minori. L’11 ottobre del 2013 un peschereccio partito dalla Libia affondò nelle acque internazionali della zona di ricerca e soccorso di responsabilità maltese, ma più vicino a Lampedusa. Più vicino ancora c’era la nave Libra della marina militare italiana, rimasta a ombreggiare a distanza il barcone fino al momento del ribaltamento.

Per questo due alti ufficiali italiani sono finiti alla sbarra con l’accusa di omissione di atti d’ufficio e omicidio colposo. Si tratta di Luca Licciardi e Leopoldo Manna. Al tempo dei fatti erano rispettivamente comandante della sezione operazioni reali correnti di Cincnav, il Comando in capo della squadra navale della marina, e responsabile della sala operativa della guardia costiera.

La sentenza di primo grado è stata emessa il 2 dicembre scorso, condivisa da tutti e tre i componenti del collegio: la presidente Anna Maria Pazienza e i giudici Maria Concetta Giannini e Chiara Bocola. I magistrati hanno stabilito che i due imputati hanno avuto un «comportamento attendista ed elusivo». Sono state «pienamente dimostrate le condotte omissive» a loro carico, si legge nel dispositivo. Nel frattempo però, a febbraio 2022, era intervenuta la prescrizione: i reati sono dunque estinti.

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In ogni caso le motivazioni restano lì come un macigno: si tratta dell’unico processo penale per i naufragi nel Mediterraneo centrale contro ufficiali dello Stato italiano. Elemento non secondario sono i risvolti civilistici della decisione dei giudici: su quella base è possibile avanzare le richieste per i risarcimenti danni. Nel dibattimento, infatti, sono stati ammessi come parti civili i familiari delle vittime, tra cui alcuni superstiti alla strage, oltre alle associazioni Asgi e Progetto diritti. Come responsabili civili risultano invece i ministeri della Difesa e delle Infrastrutture.

Per questo a gennaio 2023 i legali dei due imputati hanno fatto appello. L’obiettivo è ottenere un’assoluzione piena nel merito, sbarrando la strada alle possibili cause civili in cui, se la decisione di primo grado fosse confermata, il giudice dovrebbe stabilire l’entità dei risarcimenti. Nel presentare il ricorso gli ufficiali non hanno rinunciato alla prescrizione. Hanno però chiesto, per mezzo dei loro avvocati, l’estromissione delle parti civili dal secondo grado sostenendo che non abbiano più interesse a una sentenza di proscioglimento nel merito.

I legali dei parenti delle vittime e delle associazioni coinvolte affermano al contrario che l’interesse permane proprio per gli effetti in sede civile che avrà la decisione della Corte d’appello. Inoltre sottolineano che la richiesta di esclusione delle parti non è una facoltà che l’imputato ha in secondo grado: una volta ammesse hanno diritto a partecipare al processo fino alla sentenza definitiva. Il rischio, poi, è che venga a mancare la controparte. Finora tutto lo svolgimento della vicenda è stato segnato dalle posizioni favorevoli ai due ufficiali, prima indagati e poi imputati, da parte dei pubblici ministeri.

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Una prima richiesta di archiviazione è stata avanzata dalla procura di Agrigento e rigettata dal Gip, il quale ha stabilito che la competenza era di Roma. La procura capitolina ha ricevuto l’incartamento, insieme a un altro sullo stesso caso che veniva da Palermo, e chiesto l’archiviazione per altre due volte. Il giudice per le indagini preliminari ha rigettato in entrambi i casi.

Il processo è iniziato perché il Gip Giovanni Giorgianni ha disposto l’imputazione coatta per i reati citati, limitando però il campo dell’accertamento alla fase dell’evento successiva al fax delle 16.22 con cui le autorità maltesi, che precedentemente avevano assunto il coordinamento del soccorso, chiedevano l’impiego della nave Libra. Al termine del processo di primo grado, poi, i pm hanno chiesto l’assoluzione.

Sull’eventuale estromissione delle parti civili la Corte deciderà il 5 dicembre. La sentenza è attesa già per il giorno seguente, dopo la seconda udienza.