Reati estinti per intervenuta prescrizione. È finito così l’unico processo sui naufragi nel Mediterraneo centrale in cui alla sbarra era finito lo Stato italiano. Gli ufficiali Luca Licciardi e Leopoldo Manna erano stati rinviati a giudizio per rifiuto di atti d’ufficio e omicidio colposo. L’11 novembre 2013, a poche decine di miglia da Lampedusa, si ribaltò un barcone: 268 morti, tra cui 60 minori. I due imputati erano rispettivamente comandante della sezione operazioni reali correnti di Cincnav, il Comando in capo della squadra navale della marina militare, e responsabile della sala operativa della guardia costiera. Sono finiti a processo perché avrebbero ritardato l’invio della nave militare Libra, la più vicina al barcone in difficoltà.

La prima richiesta di aiuto alle autorità italiane è arrivata alle 12.26. Il naufragio è avvenuto alle 17.05. Per quasi cinque ore le chiamate disperate dei migranti non hanno ottenuto alcun effetto. «Malta aveva assunto il coordinamento del caso», hanno ripetuto gli imputati e i loro legali durante le indagini preliminari e poi davanti al tribunale di Roma. Che era chiamato a esprimersi solo sui 43 minuti che intercorrono tra la richiesta di invio di nave Libra da parte di Malta, con un fax delle 16.22, e il ribaltamento del peschereccio.

Non si avranno risposte neanche su questo pezzetto della storia. Quando ieri Anna Maria Pazienza, presidente del tribunale in composizione collegiale, ha letto come si sarebbe concluso il processo in aula è calato il silenzio. Gli imputati speravano nell’assoluzione, confortati dalle richieste dei pm che il 4 ottobre scorso hanno sostenuto: «il fatto non sussiste». Silenzio anche tra le parti civili, cioè tra gli avvocati che rappresentavano i parenti delle vittime, che hanno lavorato duramente per arrivare a una verità processuale su quello che fu subito ribattezzato il «naufragio dei bambini».

«Tra il 2013 e il 2020 non si è fatto praticamente nulla. La procura si è presa tempi lunghissimi per le indagini. L’accertamento della verità ha incontrato ostacoli a ogni passaggio. Tutto questo ha inciso sul processo», afferma Stefano Greco, legale di parte civile. Prima un conflitto tra procure militare e civile e poi le richieste di archiviazione dei pm hanno segnato la fase delle indagini preliminari. Il processo è iniziato solo perché nel novembre 2017 il gip Giovanni Giorgianni ha disposto l’imputazione coatta di Licciardi e Manna per l’intervallo di tempo seguente al fax. Le udienze sono iniziate il 10 ottobre 2020. Due anni a tambur battente. Non sono bastati. È arrivata prima la prescrizione.

«Speriamo solo non dipenda dall’ultimo rinvio», dicono ancora le parti civili. La sentenza era attesa l’8 novembre ma è stata rinviata perché uno dei giudici aveva il Covid-19. Precedentemente la difesa di Manna aveva presentato una memoria secondo cui i reati erano prescritti già da un anno. Ma per i calcoli della controparte la prescrizione sarebbe dovuta intervenire tra metà novembre 2022 e febbraio 2023. Anche su questo punto sarà necessario leggere la sentenza, tra 15 giorni.

Intanto la non assoluzione dei due ufficiali lascia aperta la strada a eventuali azioni in sede civile, con possibili richieste di risarcimento danni.