Emerge a pagina 52 dell’ultimo rapporto del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, reso noto pochi giorni fa (e sul sito web ufficiale) la tabella azzurra allegata alla voce «Spese per la Difesa» che rivela non solo la percentuale del pil impegnata da ogni singolo Paese membro per la sicurezza comune ma anche quanti di questi soldi finiscono effettivamente in armi.

Classifica tutt’altro che scontata: nonostante l’Italia venga tirata per le orecchie da Washington perché come la maggioranza dei Paesi Nato risulta ancora lontana dal target del 2% del pil per la difesa, potendo vantare “appena” l’1,47%, la sua spesa per le dotazioni militari vere e proprie ha già superato lo standard minimo delle «Equipment expenditure». Secondo il rapporto di Stoltenberg la quota italiana risulta del 20,5%, sopra la media Nato corrispondente al 20%. Nelle condizioni di Roma si trovano quasi tutti nell’Alleanza atlantica, a partire dalla vicina Francia che dedica “soltanto” l’1,66% del Pil alla difesa ma quasi un terzo finisce in equipaggiamenti militari.

Agli estremi della tabella spicca la Polonia, campione di entrambe le classifiche con largo distacco su tutti gli altri membri Nato (3,92% del pil della difesa – più del 3,4% degli Usa e del 3% Grecia – di cui ben il 53,6% investito in armi) mentre i fanalini di coda sono Belgio e Lussemburgo sotto il profilo delle spese generali per la difesa e Canada e Danimarca per la quota delle «Equipment expenditure».