Napolitano, un addio europeista
Funerale laico Alla Camera nove ex premier, Mattarella, Steinmeier e Macron. «Per lui la politica era una cosa seria, l’Europa una seconda patria». Gianni Letta: di fronte a questo lutto non ci sono divisioni di sorta, non cancella ma supera ogni divergenza. Con Berlusconi rapporto corretto, spero che lassù si chiariscano nella luce. I ricordi della nipote Sofia e del figlio Giulio
Funerale laico Alla Camera nove ex premier, Mattarella, Steinmeier e Macron. «Per lui la politica era una cosa seria, l’Europa una seconda patria». Gianni Letta: di fronte a questo lutto non ci sono divisioni di sorta, non cancella ma supera ogni divergenza. Con Berlusconi rapporto corretto, spero che lassù si chiariscano nella luce. I ricordi della nipote Sofia e del figlio Giulio
La bara di Giorgio Napolitano entra nel palazzo di Montecitorio avvolta nel tricolore, sorretta dai militari e accompagnata dall’inno di Mameli. Nell’aula gremita di parlamentari e ospiti tutti si alzano in piedi. Il feretro non farà mai ingresso nell’emiciclo, resterà nell’auletta del governo, scortato dai corazzieri: è li che il presidente Sergio Mattarella, la premier Meloni, il presidente francese Macron e il tedesco Steinmeier si fermeranno per un ultimo saluto e per le condoglianze alla moglie Clio. Poi entrano nell’aula, si siedono di fronte ai banchi del governo (presente quasi al completo), Mattarella a fianco della signora Clio. È quasi mezzogiorno, la Camera è pronta per ospitare il primo funerale della sua storia, una cerimonia laica. Prima di lui solo Pertini, tra gli ex capi dello Stato, aveva scelto un rito laico, ma in forma strettamente privata.
Per Napolitano invece il massimo degli onori di Stato. Un funerale totus politicus per un uomo che ha identificato la sua vita con le istituzioni. Nell’aula che lo vide presidente, e poi per due volte pronunciare il discorso di insediamento da Capo dello Stato: l’ultima esattamente 10 anni fa, nel 2013, quando fu rieletto quasi all’unanimità e strigliò il Parlamento, reo a suo giudizio di non essere stato capace di autoriforma, e dunque di una «irresponsabilità» che ha alimentato una campagna di delegittimazione della politica e delle istituzioni.
LA CERIMONIA È STATA aperta da un minuto di silenzio seguito dagli interventi dei presidenti delle Camere Fontana e La Russa. Poi è toccato al figlio Giulio il primo ricordo, contemporaneamente pubblico e privato, di un uomo politico «che non ricordo un solo giorno lontano dal lavoro», disegnato dal figlio bambino seduto alla scrivania con la penna e con la scritta «Mio padre è un deputato». Per lui il lavoro era la politica «come ideale e missione», una «cosa seria»: una decisione che non gli ha impedito di essere «un padre e un nonno sempre attento ai nostri bisogni» e di alimentare con la moglie Clio «un rapporto indissolubile».
«Non sopportava la demagogia, l’urlo e l’invettiva», dice il figlio con voce pacata, mentre evoca il «tono severo ma non di rado stemperato dall’ironia». «Ha combattuto buone battaglie e sostenuto cause sbagliate», mette a fuoco. «E ha saputo correggere gli errori e trovare strade nuove». «Ha sempre sperato e agito per un rinnovamento della politica e delle istituzioni, mostrando fino alla fine la nobiltà della politica. Ne preserveremo il ricordo», il messaggio rivolto a chi volesse, svanito il clima di «unità e condivisione» dei giorni del lutto, provare a sporcarne la figura.
LA PARTE SINISTRA dell’emiciclo è una sorta di riassunto degli ultimi trent’anni di storia repubblicana. Ci sono nove ex premier: Prodi, D’Alema, Monti, Letta, Renzi, Conte e Draghi. Oltre a Gentiloni e Giuliano Amato che terranno le orazioni funebri. E poi Veltroni, Bersani, Gianfranco Fini, Fausto Bertinotti, Pier Luigi Castagnetti, Elly Schlein con la partigiana Iole Mancini (103 anni): tutto il Pd e le sinistre di ieri e di oggi. Una reunion di un mondo che ha vissuto a fianco di Napolitano, e che dunque sente l’appuntamento con particolare coinvolgimento.
Ci sono i successi e le macerie, le scelte condivise e le tante rotture che hanno portato sugli scranni del governo Meloni, Salvini e tutta la compagine sovranista. Che partecipa per dovere, senza pathos, a questa celebrazione di religione repubblicana e di europeismo. Tranne un raro momento che vede Meloni coinvolta, quando parla la giovane Sofia May Napolitano, 26 anni. Tocca a lei raccontare un nonno in gran parte sconosciuto, che «ci chiamava quando in tv c’erano i cartoni che ci piacevano», che li andava a prendere a scuola per portarli a prendere il gelato, e poi a Capri e Stromboli per condividere i luoghi del cuore e anche in vista alla Regina Elisabetta. Un uomo dalla memoria prodigiosa, «che ricordava tutti i numeri di telefono e tutto quello che gli dicevamo», che «combatteva per i propri ideali». «Un nonno formidabile che ci ha reso orgogliosi», si commuove Sofia, mentre il fratello Simone dietro di lei le tiene una mano sulla spalla. Sono i figli di Giovanni, il primogenito.
ANNA FINOCCHIARO NEL PD è stata una delle persone a lui più vicine. Ricorda l’uomo di partito, che nella Napoli devastata del 1945 sceglie il Pci «più per impulso morale che per motivazioni ideologiche» per due ragioni: «Era il partito che più ha combattuto il fascismo e che più sapeva mescolarsi al popolo». L’ex ministra sottolinea il suo pragmatismo come «necessità di trasformare positivamente l’esistente» e la questione meridionale. «Il suo tragitto è stato dal Pci al socialismo europeo, vedeva l’Europa come una seconda patria», dice Finocchiaro, che racconta la sua «ossessione» per le riforme, viste come una necessità per «garantire la democrazia».
Riforme per modernizzare quel Parlamento «in cui si è sempre immerso perché per lui era il centro del confronto democratico». Ricorda anche la paura per le sue lettere: «La sua scrittura era tanto più obliqua e puntuta tanto più era arrabbiato, nei nostri tempestosi scambi di opinione». «Anche con gli errori che sono dell’umano, ha speso la sua vita per l’Italia, ed ad essa appartiene la sua memoria», conclude tra le lacrime.
GIANNI LETTA, UNICO esponente di centrodestra tra gli oratori, parla di «lutto repubblicano» di fronte al quale «non ci sono divisioni, ogni divergenza non si cancella ma si supera». Lo sforzo di un ricordo condiviso non nasconde le divisioni tra lui e Berlusconi, negli anni tra il 2008 e il 2011. «Per lui sono stati tra le prove più difficili, con Berlusconi erano due mondi opposti chiamati a lavorare insieme e non fu sempre facile», ammette Letta che ebbe l’incarico di mediare tra le due personalità. «Ma non vennero mai meno la volontà e la forza di tenere il rapporto nei binari della correttezza istituzionale. E Napolitano non venne mai meno ai limiti fissati dalla Costituzione».
Parole finalizzate a spazzare via la teoria del complotto che alberga a destra (e prova ne sono i giornali di riferimento) sulla sostituzione del Cavaliere con Monti nel 2011. Chiude Letta: «Lui e Berlusconi sono morti a tre mesi di distanza e mi piace immaginare che lassù possano dirsi quello che qui non si sono detti e chiarirsi nella luce».
IL CARDINALE GIANFRANCO Ravasi racconta un rapporto che è andato molto oltre i rispettivi ruoli. Ricorda la passione per Thomas Mann e per Dante, per la musica di Mozart ascoltata insieme a Papa Ratzinger «con cui ebbe molte sintonie»; il dialogo nel 2012 ad Assisi quando Napolitano confessò il suo «intimo bisogno di raccoglimento». E in conclusione gli dedica un verso del profeta Daniele: «Coloro che avranno indotto molti alla giustizia, risplenderanno come le stelle, per sempre».
PAOLO GENTILONI SOTTOLINEA la scelta europea e atlantista di Napolitano, un precursore nella sinistra italiana, la lezione di Spinelli, l’attenzione ai temi come le migrazioni e la transizione ecologica. «Un grande riformista, uno statista italiano ed europeo: per lui l’Europa è stata la via maestra e noi cercheremo di seguirla sempre». Gelo sui banchi del governo.
Giuliano Amato ricorda «la sua grande autorevolezza che veniva da una profonda cultura». La Resistenza lo avvicinò al Pci più del marxismo», le parole dell’ex esponente socialista che ne ricorda «il tormento interiore» per i carri armati russi prima in Ungheria e poi a Praga. «Non lasciò il Pci ma si dedicò alla difficile impresa di cambiarne le fondamenta, al lungo lavoro di radicamento nella democrazia, in Europa, in Occidente. E fece della prassi parlamentare il veicolo per convincere i suoi compagni del valore sostanziale della stessa democrazia». Amato riprende una sua citazione di un partigiano condannato a morte che alla madre scriveva: «Ci hanno fatto credere che la politica è sporcizia. Invece la politica siamo noi stessi». Ecco, conclude Amato, «Napolitano lo ha insegnato a tutti noi».
SONO LE 13.30 QUANDO il feretro esce dall’aula, ancora con l’inno di Mameli. Il feretro si avvia alla sepoltura nel cimitero a-cattolico di Roma, lo stesso in cui riposa Gramsci. L’aula si svuota, mentre resta l’idea del commiato non solo da una persona, ma anche dall’utopia di quello che Letta ha definito «un bipolarismo mite». Se Napolitano aveva cercato di allevare una destra moderata ed europeista, a congedarlo c’è la destra estrema a palazzo Chigi.
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