Nagorno-Karabakh, la pace è lontana
Caucaso Dopo quattro giorni di combattimenti niente tregua in vista. Erevan pronta a riconoscere l’indipendenza della regione contesa, Baku minaccia un’offensiva militare «risolutiva». Atteso il ruolo della Russia, alleata dell’Armenia e, finora, di Erdogan che invece soffia sul fuoco. Ma Putin ha un basso profilo: è sotto tiro dell’Ue per Bielorussia e caso Navalny
Caucaso Dopo quattro giorni di combattimenti niente tregua in vista. Erevan pronta a riconoscere l’indipendenza della regione contesa, Baku minaccia un’offensiva militare «risolutiva». Atteso il ruolo della Russia, alleata dell’Armenia e, finora, di Erdogan che invece soffia sul fuoco. Ma Putin ha un basso profilo: è sotto tiro dell’Ue per Bielorussia e caso Navalny
Al quarto giorno di conflitto con l’Armenia il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev ha tirato fuori gli artigli e messo le carte in tavola. Aliyev ha sostenuto apertamente, per la prima volta dall’inizio della guerra, che il ritiro dell’esercito armeno dal Nagorno-Karabakh è l’unica condizione per porre fine al conflitto.
Secondo Aliyev, se le autorità armene soddisferanno questa condizione, i combattimenti cesseranno. Il presidente dell’Azerbaigian ha ripetuto che i negoziati per la soluzione del conflitto non hanno dato risultati e che gli appelli al dialogo sono inutili.
«L’Armenia deve abbandonare la politica di occupazione» ha sentenziato. «Il premier armeno ci pone delle condizioni, sette condizioni. Non molto tempo fa ho detto che rifiutiamo queste condizioni. Noi ne poniamo solo una: le forze armate armene sono decisamente troppe in quella zona e devono lasciare immediatamente le nostre terre», ha sentenziato Aliyev durante un incontro con i feriti tornati dal fronte.
Aliyev ha anche osservato che Baku «vuole la pace e una soluzione al conflitto» ma ha promesso allo stesso tempo che l’Azerbaigian «ripristinerà la sua integrità territoriale», ricordando di aver incaricato il comando delle forze armate azere di non intraprendere alcuna azione di aggressione contro la popolazione civile armena. «Ho avvertito che se i negoziati falliscono, l’Azerbaigian risolverà la questione con mezzi militari perché la nostra causa è giusta» ha concluso.
L’occasione dei ritorno dai reduci dal fronte non poteva essere certo l’occasione per fare delle aperture, e un piccolo spazio almeno formale per la trattativa sembra ancora esserci, ma la sensazione è che l’Azerbagian potrebbe veramente tentare di affondare il coltello nell’enclave e ottenere quel successo a tutto tondo che gli serve anche in chiave interna, vista la profonda crisi economica seguita alla pandemia.
IL CREMLINO del resto ha fatto capire in tutti i modi che vuole restare solo un osservatore interessato di quanto sta avvenendo e a Baku e Ankara potrebbero aver inteso che questo è un via libera alla resa dei conti con Erevan. Dmitry Peskov, nel suo briefing odierno con i giornalisti ha usato i guanti bianchi nei confronti della Turchia.
Ha dichiarato di «non approvare le dichiarazioni della Turchia a sostegno dell’Azerbaigian» ma allo stesso tempo ha osservato che «è necessario differenziare chiaramente le dichiarazioni sulla partecipazione a un conflitto militare e sul sostegno politico a una delle parti».
La prudenza di Putin in queste ore è evidente. L’altro ieri ha sostenuto che «la pressione dei paesi occidentali nei confronti della Bielorussia ha raggiunto livelli inusitati» e sa che le sanzioni per il caso Navalny potrebbero essere assai pesanti (Sergey Lavrov ha perso ogni speranza di trattare su quella questione e ieri dalla Corea ha sparato a zero su Germania e Francia accusandole di essere «a capo di una macchinazione») e tutto vuole meno aprire un fronte di scontro anche nel Caucaso.
L’opzione, davvero da «roulette russa», potrebbe essere quella del “vada come vada” e poi si vedrà di riprendere il filo delle relazioni con l’Armenia a partire dalla sua oggettiva dipendenza energetica.
NIKOL PASHINYAN non ne può essere contento perché il dubbio che l’assalto al Nagorno-Karabakh sia avvenuto con l’avvallo preventivo di Mosca lo sta assalendo di sicuro. In una intervista concessa a The Spectator ha sottolineato con stizza la l’equidistanza del Cremlino: «Per quanto riguarda i nostri partner, vorrei dire che la posizione della Russia è totalmente neutrale nell’attuale processo» ha dichiarato il premier armeno, laddove quel «totalmente» segnala quanto siano ormai freddi i suoi rapporti con il presidente russo. Pashinyan ha anche aggiunto che durante la sua conversazione con il presidente russo Vladimir Putin, non si è neppure discussa la possibilità di un intervento militare della Russia nel Nagorno-Karabakh. «Non c’era una questione del genere all’ordine del giorno dei colloqui», ha sentenziato.
PIUTTOSTO Pashinyan ha dichiarato che sta valutando la possibilità di riconoscere l’indipendenza del Nagorno-Karabakh, e che la decisione sarà presa in base «ad alcuni fattori» che tradotto vuole dire la benevolenza occidentale di fronte a una mossa davvero poco ortodossa nel quadro del bon-ton diplomatico internazionale.
Ma à la guerre comme à la guerre recita il vecchio motto e Pashinyan non ha davvero molte carte da giocare. Dal punto di vista militare il tempo non milita a suo sfavore vista la sproporzione delle forze in campo. Anche tecnologica: un funzionario dell’esercito azero ha confermato che il suo paese si sta servendo di droni di fabbricazione israeliana per combattere nella regione contesa e in particolare ha definito il drone Harop «molto efficace».
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