Internazionale

Myanmar, la nuova patria dell’oppio

Myanmar, la nuova patria dell’oppioUn attivista contro la droga sradica dei papaveri nello stato del Kachin, in Myanmar – Hkun Lat/Ap

Asia Rapporto Unodoc: 1.080 tonnellate di oro nero prodotte e 47mila ettari coltivati a papavero (più 18%)

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 16 dicembre 2023

Naypyidaw, la capitale di uno dei tre conflitti più sanguinosi del pianeta con quelli in corso a Gaza e in Ucraina, si è guadagnata un altro triste primato. È diventata anche la capitale dell’oppio per area coltivata e produzione superando così l’Afghanistan – che invece scende verso quota zero – e facendo tornare ai fasti di un tempo il Triangolo d’oro o almeno la parte di quella figura geometrica da cui solo la Thailandia ha fatto un passo indietro e dove ritorna al lavoro con relativa sorpresa anche il Laos.

LA NOTIZIA, resa nota a Bangkok dall’Ufficio Onu contro la droga e il crimine, arriva per altro in un momento molto delicato che vede in Birmania un’offensiva senza precedenti della resistenza e il tentativo della giunta di correre a ripari chiedendo aiuto alla Cina che, in questi giorni, ha ospitato colloqui tra la Brotherhood Alliance, una coalizione di eserciti etnici particolarmente potente che ha messo sotto assedio gran parte dello Stato Shan, al confine con la Rpc, e galvanizzato l’azione di altri gruppi in altre aree del Paese. Armi e stupefacenti mai come in questi giorni sembrano andare tanto d’accordo in Myanmar.

SECONDO I NUMERI elaborati dall’Unodc nel suo rapporto di metà dicembre Southeast Asia Opium Survey 2023: Cultivation, Production and Implications, con 1.080 tonnellate di oppio prodotte e 47mila ettari coltivati a papavero (più 18%), il Myanmar diventa quest’anno la più grande fonte di materia prima per la fabbricazione di eroina. Se del Myanmar si sapeva e l’Unodc aveva già messo in guardia nel corso dell’anno sulla crescita esponenziale delle coltivazioni, la sorpresa è il Laos dove la produzione sembra si sia stabilizzata su circa 5.000 ettari anche se l’Unodc ammette di non aver elementi certi. Non come in Myanmar, dove gli aumenti monitorati sono significativi soprattutto nello Stato Shan, con una crescita delle coltivazioni del 20%. Seguono Chin e Kachin (con aumenti del 10% e del 6%), altri due stati di confine rispettivamente con India e Cina. Secondo Unodc, una forte domanda del gommoso oro nero ha fatto lievitare il prezzo dell’oppio fino a circa 355 dollari al chilo, con un aumento del 27% che lo rende assai attraente per tutti, dalla giunta birmana alla resistenza, dai trafficanti ai contadini che seminano, piantano e raccolgono il lattice dai bulbi immaturi del papavero.

ED È QUI che si incista la guerra dove una cosa alimenta l’altra. Le comunità Chin e Kachin ospitano da sempre “eserciti etnici” (Ethnic Armed Organisations-Eao), molto impegnati nella lotta ai governi centrali precedenti (visti come Bamar, la comunità dominante in Birmania) e adesso alla giunta golpista insediatasi nel febbraio 2021. Lo Shan è uno stato un po’ meno coeso per la varietà di gruppi che ne compongono anche l’agone politico. L’Offensiva 1027, portata avanti a fine ottobre dalla Brotherhood Alliance, ha visto la coalizione di tre gruppi (due di quell’area e uno dello Stato occidentale dell’Arakan) attaccare le città al confine con la Cina e bloccare il commercio che attraverso lo Shan porta le merci dallo Yunnan cinese a Mandalay e Yangon. Che un cessate il fuoco sia stato raggiunto – come la Rpc vorrebbe far credere – sembra più un passo avanti della Cina che una realtà di fatto. Specie sul terreno, dove la guerra continua. E dove, né la giunta né i “ribelli”, lo hanno confermato ancorché smentito. Per ora ci sono dunque «negoziati»: non sappiamo quanto fragili.

È UNA SITUAZIONE fluida dove i commerci “puliti” si mescolano al traffico illecito che, con la benzina della guerra birmana, ha ripreso vigore approfittando del caos e, perché no, del denaro che ogni conflitto richiede per pagare armi e soldati. Della giunta ma anche della resistenza, visto che in passato molti eserciti sono rimasti coinvolti dal traffico di oppiacei o metanfetamina. La vicenda è delicata: già in passato gruppi come i Kachin, attivi nella resistenza e messi sotto accusa dall’Unodc, avevano risposto che le zone segnalate nei rapporti Onu non erano sotto il loro controllo ma sotto quello delle milizie di frontiera fedeli alla giunta. Per altro la capacità di monitoraggio di un Paese in guerra è complicata; a maggior ragione se i gruppi criminali si attrezzano per occupare lo spazio di controllo che il conflitto sottrae ora agli uni, ora agli altri. Una matassa complessa da sbrogliare in cui è difficile distinguere i buoni dai cattivi.

SORPRENDENTEMENTE, i cattivi per eccellenza – i Talebani afgani – non hanno meritato che poche righe e nemmeno un plauso nel rapporto dell’Unodc, sebbene il primato del Myanmar si debba in gran parte a un bando di Kabul del 2022: «Dal divieto del 2022 sulla coltivazione del papavero in Afghanistan, si stima che la produzione in quel Paese sia diminuita di circa il 95%, da 233.000 ettari nel 2022 a soli 11.000 nel 2023». Troppo cattivi però per meritare una medaglia.

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