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Munafò: «Il consumo di suolo è fuori dai programmi»

Munafò: «Il consumo di suolo è fuori dai programmi»Veduta panoramica dell’area dov’è progettata la costruzione di Citywave, la torre orizzontale

Intervista Il responsabile del Rapporto Ispra ha calcolato i costi esorbitanti che dovremo pagare a causa dell’amnesia della politica: «A causa del consumo di suolo avvenuto tra il 2012 il 2021, l’Italia deve affrontare un costo annuale che stimiamo in 3 miliardi di euro, un calcolo basato sul valore dei servizi ecosistemici che quel suolo impermeabile non è più in grado di assicurare»

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 28 agosto 2022

Il tema del consumo di suolo non ha fatto breccia in campagna elettorale, nonostante il Rapporto dell’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra) che a fine luglio ha certificato 19 ettari al giorno di suolo agricolo impermeabilizzati nel 2021. Il programma del Pd dedica appena una riga generica all’esigenza di una legge per fermare il consumo di suolo, quello della coalizione di centro destra spinge addirittura nuove grandi opere. Più enfasi nei programmi di Sinistra Italiana ed Europa Verde e in quello di Unione popolare, che in Lombardia candida al Senato Domenico Finiguerra, sindaco di Cassinetta di Lugagnano (Mi), autore del primo Pgt a consumo di suolo zero e attivo da più di dieci anni nei movimenti per lo stop al consumo di territorio.

Mai come in quest’estate caldissima e siccitosa, che mostra gli effetti conclamati dei cambiamenti climatici, il tema avrebbe dovuto assumere un ruolo centrale bei programmi dei partiti e nel dibattito elettorale, anche perché il consumo di suolo inchioda le generazioni future a un debito non solo ecologico. «A causa del consumo di suolo avvenuto tra il 2012 il 2021, l’Italia deve affrontare un costo annuale che stimiamo in 3 miliardi di euro, un calcolo basato sul valore dei servizi ecosistemici che quel suolo impermeabile non è più in grado di assicurare» spiega Michele Munafò, responsabile del Rapporto sul consumo di suolo pubblicato ogni anno dall’Ispra. «Se non agiamo, il valore andrà a crescere» aggiunge.

Come avete calcolato questo valore?

Quello che facciamo è considerare l’impatto sui servizi ecosistemici principali, che sono la produzione agricola e quella di biomassa, ma anche la regolazione del ciclo delle acque, la qualità dell’aria, la capacità di stoccaggio di carbonio e la regolazione dei nutrienti e dell’erosione, tutti servizi che il suolo agricolo fornisce naturalmente e gratuitamente a tutti. Quando il suolo assorbe acqua o carbonio ne beneficia la comunità, quando viene coperto da cemento e asfalto questo servizio cessa ed è una perdita secca. La nostra stima di base sul ‘costo di sostituzione’: l’acqua che non si infiltra ad esempio, dev’essere gestita; il costo del carbonio non più stoccato ha un valore di mercato, lo stesso la produzione agricola non più assicurata.

Perché a suo avviso questo costo non spaventa chi immagina di governare il Paese?

C’è un documento interessante della Commissione europea che gli definisce ‘costi nascosti’, perché nessuno li contabilizza: questo significa che sono costi certi che però non entrano nei bilanci, se non indirettamente. Questo fa sì che non siano in genere riconosciuti, anche perché nessuno fa un collegamento rispetto agli effetti dei cambiamenti climatici o all’aumento dei fenomeni di dissesto, e al relativo costo. Poi, quando c’è un’alluvione, tutti gridano alla bomba d’acqua, ma quasi nessuno collega gli effetti di questi eventi estremi allo stato del territorio, perché se è tutto impermeabilizzato l’acqua scorre necessariamente in superficie, mentre se il suolo fosse naturale i danni sarebbero limitati.

Detta così, però, pare semplice da spiegare, anche agli elettori. Anche se “nascosti”, questi costi sono evidenti.

Sì, e per questo sarebbe auspicabile che anche in campagna elettorale venisse riconosciuto il collegamento tra il consumo di suolo e i cambiamenti climatici. Se perdiamo aree agricole per realizzare palazzi e infrastrutture, poi, è evidente che non riusciremo a produrre cibo. Per questi temi, però, non c’è considerazione. Servirebbe una battaglia culturale.

Una battaglia come quella che auspica Munafò in effetti c’è stata, dieci anni fa, era il settembre del 2012, e portò il consiglio dei ministri ad approvare un ddl contro il consumo di suolo: ne fu promotore l’allora ministro dell’Agricoltura, Mario Catania. È rimasto lettera morta: dieci anni dopo il Parlamento discute ancora, la legge non c’è. E secondo le stime dell’Ispra se fosse confermata la velocità media del consumo di suolo 2012-2021 anche nei prossimi 9 anni la crescita dei valori e dei servizi ecosistemici persi tra il 2012 e il 2030 avrebbe un valore compreso tra 78,4 e 96,5 miliardi di euro. Quello di qualche Finanziaria.

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