Ci sono alcuni momenti cruciali nella storia di un Paese in cui l’arte si inserisce nell’esplosione di forze che marcano il divenire di quel territorio. È ad una di queste congiunture che si è dedicata Anna Serlenga nel suo libro Mouvma!, edito recentemente da Meltemi. Al centro vi è infatti l’esplorazione del campo delle pratiche artistiche in connessione alla cosiddetta «Primavera araba» vissuta dalla Tunisia nel 2011. Tutto nasce da un vissuto, Serlenga si è infatti recata nel Paese magrebino l’anno seguente per condurre la sua ricerca e lì è rimasta fino al 2018, fondando il collettivo Corps Citoyen e portando poi quella eredità di riflessione artistica de-coloniale nel progetto Milano Mediterranea, ancora attivo nel quartiere Giambellino. Questo per dire che, nella puntuale e interessante ricerca di Mouvma!, emerge un coinvolgimento che ci dà il termometro degli eventi vissuti e delle connessioni create sull’altra sponda del Mediterraneo.

IL LIBRO inizia con una contestualizzazione politica della «Rivoluzione» del 2011 e del momento attuale, segnato dal congelamento del Parlamento da parte del presidente Kais Saied, in attesa di una modifica della Costituzione in senso presidenziale. Un vento insomma molto diverso rispetto a quello di dodici anni fa, quando i tunisini scesero in piazza per chiedere «libertà, dignità e pane» unendosi nel grido Dégage! rivolto a Ben Ali. Serlenga nota come la stessa definizione di «Primavera araba» costituisca una narrazione occidentale, e sul crinale di questo complesso rapporto con il continente europeo anche l’arte ha trovato la sua espressione. Basti pensare al curioso aneddoto per cui il teatro sarebbe arrivato a Tunisi per la prima volta nel ’700 con la confisca corsara di una nave francese carica di teatranti, costumi e scenografie.

IN QUEST’OTTICA, la «Rivoluzione» del 2011 ha segnato realmente una frattura rispetto alla censura piuttosto pesante da parte del regime. Le due assi su cui questa nuova fase si è sviluppata sono l’uscita dal logocentrismo, eredità dei modelli colonialisti, mettendo invece al centro il corpo; e poi l’occupazione dello spazio pubblico, non dovendosi finalmente più nascondere. Ecco allora la centralità della breakdance e della cultura hip hop.
Certo la transizione non è indolore, quando infatti il collettivo Art Solution, fondato da Chouaib Brik – e contaminato dalla danza contemporanea grazie all’incontro col coreografo Bahri Ben Yahmed – il 25 marzo 2012, insieme a centinaia di artisti e artiste festeggia la giornata del teatro con interventi performativi e musicali in strada, vengono attaccati da militanti islamici salafiti con bastoni e spranghe, a sottolineare come le contraddizioni della società e della gioventù tunisina non si siano certo cancellate con i moti contro Ben Ali.

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Milano Mediterranea, il gesto degli artisti per unire la cittàUn altro fenomeno di rottura è rappresentato dai festival, che Serlenga racconta anche attraverso interviste a curatori e curatrici. In particolare, il Chouftouhonna – letteralmente, «Le avete viste?» in dialetto tunisino – e il Dream City Festival segnano uno slittamento nelle rivendicazioni, dove «dignità pane e lavoro» cedono il passo a «sessualità corpo e desiderio», portando avanti la lotta per la depenalizzazione dell’omosessualità nel Paese (dove si rischiano ancora 3 anni di reclusione). Il libro si nutre poi di diversi interventi, tra cui le bellissime foto di Emna Fetni nella banlieu di Ettadhamen, che raccontano una gioventù povera e arrabbiata in cerca di un riscatto. Infine, vengono raccontate le attività del collettivo Corps Citoyen – dove insieme a Serlenga ci sono oggi Rabii Brahim, Francesca Cogni, Alessandro Rivera Magos – progetto che si è nutrito proprio di quella spinta verso lo spazio pubblico e l’elaborazione di un «noi», portando avanti, accanto agli spettacoli, diversi laboratori artistici con la cittadinanza.
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Questi sono alcuni degli spunti offerti da Mouvma!, lettura preziosa per comprendere l’eredità, che contiene anche un tradimento, di quanto avvenuto nel Paese dodici anni fa. Un lascito che però l’espressione artistica sembra aver colto, con il compito e la speranza di abbattere ulteriori barriere, «per la libera circolazione delle persone nel Mediterraneo».