Il rumore del Mediterraneo, gli echi delle diverse lingue parlate nelle città che vi si affacciano, il retaggio della cultura colonialista da sostituire con onde nuove grazie ad un progetto artistico inclusivo. Questa è Milano Mediterranea, realtà appena nata nel quartiere multietnico e periferico Giambellino del capoluogo lombardo, ideata da Anna Serlenga, regista teatrale e ricercatrice e da Rabii Brahim, performer e musicista. I due si sono incontrati a Tunisi nel 2012, all’indomani della primavera araba e della caduta del regime di Ben Ali. «Stavamo imparando ad essere liberi, ci chiedevamo come poterlo fare, sia come attivisti politici che come artisti. Confrontandoci tra giovani europei come Anna e noi tunisini, ci siamo chiesti che tipo di dialogo instaurare con la società, se fosse possibile costruire qualcosa insieme», ci racconta Brahim. È nato così il collettivo dei Corps Citoyen, compagnia teatrale che lavora sul tema del decolonialismo attraverso la creazione di opere d’arte partecipate dagli abitanti di territori complessi.

RITORNATI da due anni in Italia, Serlenga e Brahim hanno recentemente dato vita al progetto Milano Mediterranea grazie al bando del comune «scuola dei quartieri». Lo scopo è fornire una proposta culturale per il territorio «che apra delle porte chiuse, che non tema i tabù». Il primo passo è stato la creazione di un gruppo di gestione molto variegato, definito un nuovo «comitato di quartiere» che comprende molte delle realtà già presenti a Giambellino: i centri di aggregazione giovanile, il mercato Lorenteggio, centri culturali come Il Colorificio, il teatro parrocchiale La Creta.
Marta Meroni, direttrice organizzativa del progetto, in quanto antropologa e profonda conoscitrice della zona ha avuto la capacità di tessere questa rete di supporto molto diversificata per età e provenienze. Il comitato non solo garantisce delle sedi fisiche per lo svolgimento delle attività di Milano Mediterranea, ma prende parte ai processi decisionali, tanto da assumere un ruolo di co-curatela. Nel concreto, una delle prime proposte di Serlonga e Brahim è stata quella di lanciare una chiamata pubblica per selezionare tre artisti o artiste a cui offrire una residenza di due mesi in quartiere con un piccolo budget. I progetti candidati sono stati selezionati dal comitato, non solo con il criterio della qualità ma anche delle necessità e della fruizione da parte del territorio. Le modalità sono esposte nelle parole di Serlenga: «Abbiamo scelto di non procedere per votazione, ma di cercare di arrivare ad un consenso che sia il più possibile unanime, anche per scatenare la discussione all’interno gruppo».

QUESTO processo ha portato infine alla scelta del duo Emigrania, che svilupperà una ricerca sui volti degli abitanti del Giambellino tramite l’illustrazione; di Giorgia Ohanesian Nardin, che proporrà una performace-lecture incentrata sulle tematiche queer e di lotta alla normatività patriarcale dei corpi; dei Mombao, musicisti con un passato nel Teatro Valdoca e dediti al body painting.
L’altra attività portante di Milano Mediterranea sono i laboratori gratuiti per gli adolescenti, che mirano ad includere giovani di varie provenienze utilizzando diversi linguaggi artistici. Il primo laboratorio si chiama Trap community opera e consisterà nel dar vita ad una vera e propria opera comunitaria trap, con tanto di libretto.
In questo percorso, purtroppo reso più complesso dall’emergenza sanitaria, si vorrebbero coinvolgere i giovani nella scrittura, nella produzione musicale e infine nella rappresentazione scenica all’interno dello spazio urbano. La musica e la trap nello specifico ha il potere, secondo gli ideatori, di abbattere le numerose barriere che esistono tra le comunità, «di mettere insieme i figli dei fascisti con quelli dei migranti perché contiene una necessità espressiva, una rabbia anti-sistema molto vitale». Per presentare il laboratorio Milano Mediterranea ha prodotto un videoclip visibile su youtube della canzone Vieni che parliamo, in collaborazione con il rapper Diamante e mixata dal musicista tunisino Wael Jegham. Un invito ma anche una sorta di manifesto delle tematiche e delle relazioni che si stanno intessendo, alle riprese — che si devono al gruppo milanese StoryBe — hanno infatti partecipato tanti ragazzi e ragazze del comitato.

D’ALTRONDE il dialogo è uno dei punti centrali del progetto, come ha sottolineato Serlenga «il tema del «chi parla» è sempre stato uno degli assi della nostra ricerca, per non sostituirsi in modo paternalista e coloniale a delle soggettività ma provare ad includerle in una co-scrittura». Anche per questo tutta la comunicazione di Milano Mediterranea è sviluppata in due lingue, l’italiano e l’arabo. I laboratori — l’altro in cantiere riguarda la fonia e l’illuminotecnica e sarà diretto da Manuel D’Onofrio — si svolgeranno sempre con il supporto di spazi già affermati ma posizionati più verso il centro città, come Base e Mare Culturale Urbano. Lo scopo è quello di portare gli artisti nelle realtà più periferiche e i giovani in quelle più centrali, dando vita ad una circuitazione.
Tutti i risultati che verranno raggiunti in questi primi sei mesi di attività, sia per quanto riguarda le residenze artistiche che i laboratori, verranno infine presentati in un festival estivo di tre giorni che si svolgerà per le vie di Giambellino, dove non mancheranno i momenti di confronto e riflessione sull’approccio decoloniale alla produzione culturale. Affinché le onde del Mediterraneo portino canzoni di libertà e non più di oppressione.