«Per noi è chiaro che Washington è responsabile per questo atto terroristico senza precedenti». Non usa eufemismi il vice ministro degli Esteri russo, Sergei, Ryabkov, a proposito delle ultime rivelazioni sulle indagini riguardo al gasdotto Nord Stream.

Non solo accusa Washington, ma Ryabkov bolla l’inchiesta del New York Times, secondo cui l’attentato alla conduttura sottomarina sarebbe opera di un ignoto «gruppo ucraino o filo-ucraino», come tentativo di depistaggio «per sviare l’opinione pubblica internazionale».

POCO PRIMA il titolare dello stesso dicastero, Sergei Lavrov, si era spinto oltre col solito stile comunicativo pregno di minacce e perentorietà. Se un’indagine «obiettiva e imparziale» sull’attentato al gasdotto dovesse essere bloccata, la Russia valuterà «come rispondere all’Occidente» in quanto «attacco diretto a una nostra proprietà».

Anche il presidente ucraino è stato obbligato a rilasciare una dichiarazione in merito, ma come in una sorta di gioco delle parti, nemmeno la sua affermazione si discosta dall’usuale: «Per quanto riguarda il Nord Stream, non abbiamo nulla a che fare con questa storia. Tali notizie dei media fanno il gioco della Russia», ha spiegato, con un po’ di fastidio, Zelensky.

Intanto a Bakhmut la battaglia continua. Il capo della compagnia di mercenari Wagner, Evgeny Prigozhin, impegnata nell’assalto alla zona nord della città, sostiene addirittura che le forze armate di Kiev stiano per «preparare una controffensiva».

I CANALI TELEGRAM russi sostengono che nell’area dello stabilimento metallurgico Azom gli uomini della Wagner siano riusciti a conquistare posizioni. Tuttavia, è singolare che la controparte sostiene, tramite le parole un portavoce del Comando orientale, che «la compagnia Wagner ha subito perdite significative e, si potrebbe dire, la maggior parte di essa è caduta nei campi di Bakhmut».

Ma fonti governative ucraine aggiungono che «la situazione a Bakhmut si è aggravata, il nemico continua l’offensiva e cerca di sfondare la difesa delle forze armate ucraine».

Com’è evidente, non siamo ancora giunti al punto di svolta nella battaglia per il controllo della zona di Bakhmut. Tuttavia, al ritmo di almeno 300 uomini al giorno (da un lato e dall’altro del fronte), i soldati continuano a morire per conquistare o difendere la città che «non cambierà le sorti della guerra» ma che, al momento, entrambi i belligeranti sembrano volere più di ogni altra cosa.