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Monete digitali contro l’iperinflazione, la nuova corsa all’oro dello Zimbabwe

Monete digitali contro l’iperinflazione, la nuova corsa all’oro dello ZimbabweIl governatore della Reserve Bank of Zimbabwe, John Mangudya, con una delle monete d'oro emesse lo scorso luglio per arginare la crescita dei prezzi – Ap

Economie disastrate Con il potere d'acquisto eroso giorno per giorno si spende tutto e subito: «Almeno ti resta qualcosa» dicono tutti. Il prezioso metallo, ultima risorsa rimasta al paese africano, farà da garante

Pubblicato più di un anno faEdizione del 14 maggio 2023

Il 10 febbraio 2023 servivano 800 dollari dello Zimbabwe per acquistare un dollaro Usa. Ieri, secondo il tasso di cambio ufficiale, ne servivano 1178. Nella vita reale questi numeri sono anche peggiori: da gennaio il dollaro locale ha perso più della metà del suo valore, toccando sul mercato nero i 2200 dollari per un singolo dollaro Usa. Il primo tasso di cambio viene rilevato dalle aste agli importatori, ma è il secondo che interessa la gente comune.

Nei mercati informali di Harare i cambiavalute espongono mazzette enormi e consumate di dollari locali, biglietti che puzzano di muffa: le banche sono ormai prive di valuta estera, che si trova quasi solo per strada, e il potere d’acquisto è eroso giorno dopo giorno. Tenere i soldi in banca significa vederli svalutare, i 1000 dollari zimbabweani di oggi ne varranno 820 tra 10 giorni, meno della metà tra due o tre mesi. Si spende tutto e si spende subito: «Almeno ti resta qualcosa» dicono tutti.

A pochi mesi dalle elezioni, dopo anni di promesse e goffi tentativi di rimettere in sesto una delle economie più disastrate al mondo, lo Zimbabwe prova a scommettere sull’ultima risorsa rimasta: l’oro. Nel 2022 ha prodotto 35 tonnellate d’oro, il cui principale acquirente è la Reserve Bank of Zimbabwe (RBZ), la banca centrale: la scorsa settimana questo metallo era scambiato alla cifra record di 2072 dollari l’oncia.

Sull’onda di questa nuova corsa all’oro, Harare vuole scommettere sulla speculazione questa settimana ha presentato delle monete digitali sostenute proprio dal valore dell’oro, che «espanderanno gli strumenti di conservazione del valore disponibili nell’economia»: i detentori di monete d’oro fisiche potranno convertirle in gettoni digitali garantiti proprio dall’oro. L’obiettivo è smorzare le pressioni sui prezzi, dopo decenni di cicli regolari di iperinflazione: lo scorso mese di luglio, quando l’inflazione ha toccato il 200%, RBZ ha emesso monete d’oro fisiche, a 1800 dollari Usa l’una, per arginare il crollo valutario. Secondo il tasso ufficiale, oggi l’inflazione è all’87% ma il suo calcolo è opaco: il Paese ha adottato un “tasso misto”, che include i prezzi in dollari sia zimbabweani che americani. Il tasso di interesse principale dello Zimbabwe resta a tre cifre: 140%.

Le monete digitali funzioneranno come dei buoni del Tesoro, garantiti dalle riserve aurifere e rimborsabili dopo 180 giorni. Harare vuole sfruttare due vantaggi: il suo territorio produce moltissimo oro, che quindi non deve essere importato, e il deposito di questo è presso la RBZ. Tuttavia, come per molte delle innovazioni introdotte negli ultimi anni, le ragioni dell’iperinflazione restano intatte e il Paese che continua a stampare moneta per finanziare l’insaziabile spesa pubblica. Le politiche monetarie degli ultimi 15 anni, dal crollo verticale del dollaro del 2008, hanno prodotto una moneta che oggi non vale nulla: Fake money la chiamano i cittadini, nonostante i tentativi per imporne l’uso siano stati innumerevoli.

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