Mohamed Dihani, l’attivista saharawi è finalmente un rifugiato
«Avevo una sensazione positiva ma non sostenuta da dati oggettivi. Quando sono stato chiamato al telefono dai miei avvocati Cleo Maria Feoli, Martina Ciardullo e Andrea Dini Modigliani, sono rimasto senza fiato. Poi un pianto davvero liberatorio». Così Mohamed Dihani, difensore dei diritti umani e attivista saharawi di lungo corso, commenta quanto avvenuto lo scorso lunedì, giorno che ricorderà probabilmente a lungo, in quanto una sentenza del Tribunale civile di Roma, depositata in quella data, ha finalmente riconosciuto il diritto alla protezione internazionale: «Ho smesso di sentirmi disperso. Mi spiego: sapere di avere ottenuto lo status di rifugiato mi fa sentire sotto la protezione dello stato italiano. Essere libero e difeso è una sensazione indescrivibile. Sono quindici anni che non mi sentivo più in questo modo. L’ultima volta è stato nel 2008, ovvero quando ho lasciato la Toscana, quindi l’Italia, prima di rientrare a El Aaiun dove poi prese il via l’odissea che ho vissuto».
Nel corso degli anni Dihani è stato più volte rinchiuso nelle carceri marocchine, in particolare a Temara, la prigione considerata la Guantanamo d’Africa, dove oltre a essere tenuto in isolamento ha subito ripetute torture speciali di ogni genere. Un periodo che oltre a essere lontano nel tempo, vede ora una formalizzazione del nuovo status che infonde una tranquillità a lungo anelata da Dihani.
Significativa in tal senso è la sentenza del Tribunale, che oltre a riconoscere il Marocco paese non sicuro, ribalta, come riportato da Amnesty, «la decisione a cui era pervenuta la Commissione territoriale di Roma, che nel maggio 2023 aveva rigettato la richiesta di protezione internazionale, infatti lasciata del tutto priva di qualsiasi motivazione».
In attesa della scadenza di trenta giorni a partire dal fatidico sedici settembre, entro cui il ministero dell’Interno può presentare ricorso in Cassazione contro il riconoscimento dell’asilo, emergono alcuni elementi di valore, come sottolinea Dihani: «Leggendo la sentenza sono stato contento di notare alcuni punti che sostengono l’intera causa saharawi. Parlo della descrizione della presenza militare marocchina come occupazione del Sahara Occidentale e del riconoscimento della continua e sistematica violazione dei diritti umani di attivisti e giornalisti che vivono nei territori occupati, dove cercano di far sentire la voce della nostra gente ribadendo il diritto all’autodeterminazione. Ancora, la citazione del continuo sfruttamento delle risorse naturali in corso».
Tra le righe, emerge il valore dell’ong che lo ha sostenuto: «Oltre il personale interesse, leggendo l’intera sentenza, balza agli occhi che Amnesty viene citata nel testo per ben trentatré volte. Questo dimostra la competenza e la convinzione dell’organizzazione nel lavoro di supporto e sostegno che svolge nei riguardi dei difensori dei diritti umani».
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