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Un migrante alla frontiera con l'Honduras, foto Simona CarminoUn migrante alla frontiera con l'Honduras – tutte le foto in pagina sono di Simona Carmino

Reportage Ai migranti in transito il governo di Xiomara Castro concede un salvacondotto di 5 giorni, un’arma a doppio taglio che evita le deportazioni ma non violenze ed estorsioni istituzionalizzate

Pubblicato 14 giorni faEdizione del 25 settembre 2024
Simona CarninoRegione di El Paraíso, Honduras

Sono le 7 del mattino e Diego, venezuelano di 29 anni, si fa strada in un sentiero sterrato, nascosto tra piante di caffè, talmente incolte da non dare frutto. Dietro di lui, una fila silenziosa di persone, per lo più venezuelane, con bambini in braccio e zaini da montagna, avanza senza intermittenza per le due ore successive. Alle loro spalle, la bandiera rossa e nera del Frente Sandinista de Liberación Nacional sventola sull’ultimo lembo di terra nicaraguense. Poco distante la scritta «Bienvenidos a Honduras» lascia intendere che mancano pochi metri al confine.

DIEGO SI RIPOSA UN MOMENTO su una grossa pietra vicino alle piante di caffè. Ha appena messo il piede in Honduras dopo un viaggio di due mesi dalla Colombia, dove si era installato otto anni fa. A 25 anni ha contratto l’Hiv e, sebbene i medicinali antiretrovirali siano gratuiti, la discriminazione vissuta dentro e fuori l’ospedale, unita alle scarse opportunità lavorative, lo hanno spinto a migrare verso gli Stati Uniti.

Migranti al confine tra Honduras e Guatemala
Migranti al confine tra Honduras e Guatemala, foto Simona Carmino

Come le centinaia di persone che ogni giorno arrivano in Honduras, Diego ha attraversato la Selva del Darién, giungla paludosa e montuosa, dove, se non è la stessa natura a decimare chi osa entrarvi, ci pensano le bande locali a uccidere per pochi dollari.

«Mi sono caduti i medicinali nel fiume. Gli indios (termine usato dai migranti per descrivere le bande del Darién, ndr) li hanno trovati ma non me li hanno restituiti – racconta – Sono 15 giorni che non li prendo, sono pieno di infezioni e disidratato per la diarrea. Per fortuna, qui in Honduras danno i farmaci gratis». Diego zoppica, ma sorride con l’illusione che il peggio sia passato. Insieme agli altri, sfila davanti alla polizia honduregna che li guarda con fare indolente, ma non li ferma.

DAL 2022, L’HONDURAS guidato da Xiomara Castro, di Libertad y Refundación, partito di sinistra fondato da suo marito Manuel Zelaya, ex presidente del Paese fino al colpo di stato del 2009, è il primo paese centroamericano a concedere un salvacondotto gratuito di cinque giorni ai migranti. Il procedimento permette di evitare deportazioni ed estorsioni della polizia, ma il vero interesse del governo è far sì che i migranti escano il prima possibile dal suolo nazionale.

Da gennaio al 25 agosto di quest’anno, oltre 286mila persone di 117 nazionalità hanno richiesto il salvacondotto, punta dell’iceberg di un flusso migratorio oceanico in transito per questo paese tre volte più piccolo dell’Italia, ma che riceve sette volte più migranti.

Chi ha soldi si affida a reti di coyotes, che offrono trasporti veloci fino alla frontiera meridionale del Messico. Tutti gli altri richiedono il salvacondotto, pur sapendo che non è uno scudo contro le violenze ed estorsioni che puntualmente avvengono in Honduras.

LO SA POCAHONTAS, ragazza trans cubana di 31 anni, che, con il salvacondotto alla mano, sta pensando come continuare il viaggio. Pocahontas preferisce essere chiamata così perché non si identifica in un’identità maschile, anche se in viaggio ha usato vestiti unisex per motivi di sicurezza. Vuole andare negli Stati Uniti per cancellare il suo passato e i tratti maschili che non la rappresentano. «Mio padre mi ha cacciata da casa a 17 anni e mi sono prostituita per mangiare – racconta mentre guarda una foto di sé in abiti femminili sul cellulare -. Ho deciso di andarmene perché non era vita, anche se sono costretta a prostituirmi pure ora, per finanziare il viaggio».

IL SALVACONDOTTO è un’arma a doppio taglio, perché identifica le persone migranti irregolari e le costringe a seguire iter prestabiliti di estorsioni istituzionalizzate e accettate dallo Stato. In Honduras, le grandi imprese di trasporto turistico hanno rubato il mercato ai coyotes, perché il business dei migranti è più redditizio del trasporto turistico.

Ogni giorno partono decine di bus che attraversano il Paese verso la frontiera di Agua Caliente con il Guatemala a un prezzo di 45 o 60 dollari a biglietto, mentre un cittadino honduregno o uno straniero con visto turistico, paga circa 25-30 dollari in trasporto locale.

Diego prova a chiedere informazioni al terminal degli autobus di Danlí, qualche chilometro dalla frontiera con il Nicaragua. «Gli autobus hanno aria condizionata, sedili reclinabili e wi-fi. In 18 ore si arriva ad Agua Caliente. Si paga di più, pero es calidad!», dice la venditrice. «Ma cosa me ne frega – dice Diego – del sedile reclinabile. Però non abbiamo scelta. Per fortuna i miei mi hanno mandato i soldi per il biglietto».

Ai prezzi degli «autobus speciali per stranieri» si aggiungono le commissioni illegali applicate dagli agenti delle compagnie di invio internazionale di denaro. «Ritira qui la tua rimessa», si legge su tutte le agenzie di Western Union e MoneyGram. Andrea, una ragazza venezuelana, con il passaporto al collo, si avvicina per ritirare 100 dollari inviati dalla madre. «Quanto costa ritirare?», chiede all’agente della Western Union. «Il 10% con il passaporto, o il 30% senza. In questo caso, puoi farti mandare i soldi sul mio conto» spiega l’agente, indicando la scritta «Deposita sul mio conto corrente» sulla sua maglietta, infischiandosene del fatto che Western Union e MoneyGram non applicano commissioni sul ritiro di denaro, come dichiarato sui siti officiali.

ANDREA E DIEGO, come le centinaia di migranti entrati in Honduras lo stesso giorno, prendono il bus storcendo il naso, ma consapevoli di essere più fortunati di Pocahontas, che resta a Danlì a racimolare qualche dollaro. Diciotto ore dopo, si arriva nei pressi di Agua Caliente, dove ci si mette in fila, in attesa di restituire il salvacondotto e continuare il viaggio. La strada è affollata di taxi che suonano il clacson ai migranti. Da un finestrino si sente: «Per 50 dollari ti porto a Esquipulas». Chi ha i soldi non ci pensa due volte. Gli altri pagano circa 30 dollari per un minibus e camminare 20 minuti per attraversare la frontiera dalla montagna.

A ESQUIPULAS, la prima città guatemalteca, c’è Andrea. «Ho comprato il biglietto per Città del Guatemala», dice, felice ma ignara che la strada è costellata di posti di blocco dove la polizia potrebbe chiederle una tangente per lasciarla passare. Cinque giorni dopo, Andrea invia un messaggio da Oaxaca, in Messico. «In Guatemala ci hanno rubato tutto. Questo viaggio è davvero assurdo, amiga».

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