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Modi negli Stati uniti: cortesie per l’ospite utile contro la Cina

Modi negli Stati uniti: cortesie per l’ospite utile contro la CinaNew York, Narendra Modi partecipa a una lezione di Yoga nel giardino dell’edificio delle Nazioni unite – Justin Lane/Epa

Asia/Usa La prima volta del premier in America. Bugie sull’erosione dei diritti umani in India

Pubblicato più di un anno faEdizione del 24 giugno 2023

Nel passato recente, non si ricorda una visita di Stato di un premier indiano negli Stati uniti d’America così infarcita di lisciate di pelo, salamelecchi e dichiarazioni d’amore come quella che ieri si è conclusa a Washington.
Tre giorni in cui l’amministrazione guidata dal presidente Joe Biden ha letteralmente steso il tappeto rosso per l’India, il Paese su cui gli Stati uniti stanno scommettendo di più in assoluto per contrastare a tutto campo la superpotenza cinese.

QUESTA È STATA la prima visita di stato ufficiale negli Usa per il premier indiano Narendra Modi e, record nel record, è stata anche la prima volta di Modi in una pseudo conferenza stampa non pilotata: da quando governa l’India – ininterrottamente, dal 2014 – Modi non aveva mai permesso che la stampa gli facesse delle domande non concordate in precedenza.

È successo giovedì 22 giugno, quando Sabrina Siddiqui del Wall Street Journal ha chiesto a Modi di rispondere a chi – in India e non solo – accusa il suo governo di discriminare le minoranze etniche e religiose e di aver limitato enormemente la libertà di stampa e di espressione all’interno dei confini indiani. Modi, imbeccato da Biden, si è detto sorpreso da questa domanda, perché tutti sanno che «la democrazia è nel dna dell’India» e che in India «non c’è alcuno spazio per discriminazioni religiose, castali, etniche, di età, di ceto».

TUTTO FALSO insomma, anche se dal 2014 a oggi non esiste un rapporto internazionale sulla salute della democrazia indiana che non evidenzi la caduta a picco del Paese in tutti gli indicatori. Per motivi di spazio, citiamo come esempio l’ultimo report dello svedese V-Dem Institute, che posiziona l’India al 107esimo posto su 179 con la dicitura «autocrazia parlamentare».
L’erosione dei diritti umani in India è un tema che da settimane gran parte della stampa e dell’attivismo anglosassone ha coperto con un’intensità inedita.

Di senso completamente opposto sono state invece tutte le dichiarazioni ufficiali della Casa Bianca e del presidente Joe Biden, che per tre giorni hanno ripetuto la cantilena di «Usa e India grandi amici, le più grandi democrazie del mondo, i valori democratici condivisi, la democrazia scorre nelle vene di Usa e India».

RACCONTO quantomeno parziale di quello che oggi è l’India e che, soprattutto, spazza sotto al tappeto le denunce della società civile e del giornalismo indipendente indiano che da anni suonano il campanello d’allarme. La ragione di questa dissociazione dalla realtà è nota: gli Stati uniti hanno bisogno dell’India per contenere la Cina e isolare la Russia.

In questo scenario, molto se non tutto viene ufficialmente «perdonato» all’India di Modi – da qualche settimana ufficialmente il Paese più popoloso del mondo – anche se New Delhi oltre alle vaghe dichiarazioni di intenti ancora non ha dimostrato di volersi veramente allineare agli interessi globali degli Usa. Sul conflitto in Ucraina, mentre Modi auspicava una soluzione diplomatica tra le parti, l’India ha fatto e sta facendo incetta di petrolio e gas russi venduti in saldo da Vladimir Putin per controbilanciare le sanzioni economiche.

E SULLA CINA, mai citata esplicitamente in questi tre giorni, è vero che i rapporti con l’India sono tesi, ma è vero anche che gli investimenti e le esportazioni di Pechino verso New Delhi sono fondamentali per la prima economia del subcontinente, e non facilmente sostituibili nel breve termine. Gli accordi commerciali nei settori di semiconduttori, microchip, minerali e terre rare, energia solare e supercomputer dovrebbero mettere le basi per una solida futura partnership indo-americana in chiave anti-cinese.

Ma le ambizioni dell’India di Modi superano l’offerta dell’amicizia speciale americana. L’obiettivo è diventare una superpotenza fatta e finita.
Non una nuova Cina, ma una nuova India seduta al tavolo dei grandi della Terra, dove chiamarsi «democrazia» conta più che esserlo davvero.

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