Finché ce n’è per tutti, cane non morde cane. Ma ora che l’emergenza pandemica appare meno pressante e la domanda di vaccini cala, le due aziende farmaceutiche Moderna e Pfizer, che finora si sono spartite il mercato occidentale, iniziano a sgomitare.
Ad aprire le ostilità è Moderna, che nel 2021 ha fatturato vaccini per 18 miliardi di dollari. L’azienda ha comunicato ieri di aver avviato due cause legali negli Usa e in Germania contro le rivali Pfizer e BioNTech, accusandole di aver copiato tecnologie brevettate per il vaccino Comirnaty, che nel 2021 ha fruttato 37 miliardi di dollari di ricavi.

«IL VACCINO COMIRNATY – afferma Moderna – viola brevetti registrati tra il 2010 e il 2016 che coprono fondamentali tecnologie riguardanti l’mRna. Queste invenzioni rivoluzionarie sono state decisive per lo sviluppo del vaccino Spikevax contro il Covid-19. Pfizer e BioNTech le hanno copiate senza autorizzazione». L’accusa riguarda ingredienti cruciali per i vaccini. Innanzitutto, Pfizer avrebbe utilizzato lo stesso involucro di Moderna (una nanoparticella di lipidi) per trasportare efficacemente l’mRna nelle cellule. Inoltre, Pfizer avrebbe copiato da Moderna anche una piccola ma decisiva modifica alla composizione chimica del mRna, che ne potenzia la risposta immunitaria e senza la quale i vaccini non sarebbero stati efficaci.

La proprietà intellettuale è stata a lungo al centro di polemiche durante la pandemia, perché i vaccini brevettati da Moderna e Pfizer si sono rivelati troppo costosi per gran parte dei paesi più poveri. Per sfuggire alle critiche, nel 2020 l’amministratore delegato Stéhane Bancel dichiarò che Moderna avrebbe tollerato eventuali imitazioni non autorizzate, pur di garantire l’accesso ai vaccini. A marzo 2022 la sua posizione però è cambiata: Moderna avrebbe chiuso un occhio sulla pirateria solo nei Paesi più poveri, mentre aziende come Pfizer e BioNTech avrebbero dovuto pagare una licenza per usare le sue tecnologie.

«Pfizer e BioNTech non l’hanno fatto» è l’accusa dell’azienda. Che prova a evitare di essere a sua volta accusata di voler monopolizzare il mercato: «Data la necessità di garantire l’accesso a questi vaccini essenziali, Moderna non mira a bloccare la vendita del vaccino Pfizer» né ora né in futuro. L’obiettivo è ottenere un risarcimento miliardario, visto l’enorme giro d’affari sorto intorno ai vaccini. Ma Moderna punta anche ad acquisire una posizione dominante sulle future applicazioni dell’mRna, una «piattaforma» utile per sviluppare vaccini ma anche redditizi farmaci anti-tumorali.

VERTENZE DEL GENERE non sono rarenon appartengono solo al mondo farmaceutico: in ambito informatico, giganti come Google e Apple hanno duellato per anni sui brevetti usati negli smartphone prima di siglare una storica tregua nel 2014. La stessa Moderna che oggi si dice danneggiata è stata accusata di appropriazione di invenzioni altrui, quando provò a brevettare a proprio nome tecnologie decisive sviluppate insieme al National Institutes of Health, il principale ente pubblico statunitense nella ricerca biomedica.

ANCHE SULLE TECNOLOGIE contese oggi Moderna dovrà dimostrare in tribunale di detenere legittimamente quei brevetti. La modifica del mRna di cui rivendica la paternità è in gran parte un’idea dell’ungherese Katarina Karikò e dallo statunitense Drew Weissman dei primi anni 2000. Oggi Karikò dirige le ricerche della BioNTech, ma all’epoca i due ricercatori lavoravano all’università di Philadelphia. Anche per le nanoparticelle lipidiche Moderna è stata a sua volta citata in giudizio da due aziende canadesi, la Arbutus e la Genevant, che rivendicano la paternità sulla stessa scoperta. Nemmeno in questo caso sarà facile stabilire chi abbia avuto l’idea, dato che le prime applicazioni delle nanoparticelle risalgono agli anni ‘70.

IL SISTEMA BREVETTUALE dovrebbe incentivare le attività di ricerca riconoscendo un diritto di monopolio agli inventori. Ma la complessità del sistema lo sta facendo collassare sotto il peso di un numero di cause sempre più grande e costoso, che finisce per sottrarre risorse alla ricerca. Ogni anno l’ufficio brevetti statunitense riceve circa seicentomila richieste di brevetto sulle tecnologie più disparate e per smaltire questa mole di pratiche gli esaminatori dedicano appena diciotto ore a ogni invenzione per valutarne originalità, grado di innovazione e utilità.

LA SPROPORZIONE tra le sterminate fonti da consultare e interpretare e il tempo a disposizione è tale che moltissimi brevetti vengono assegnati nonostante non rappresentino vere innovazioni, con episodi talvolta esilaranti: nel 2002, Steven Olson, un bambino di cinque anni, ottenne un brevetto sul metodo migliore con cui spingere un’altalena. La complessità del sistema genera così innumerevoli contenziosi in cui di solito non vince la creatività, ma l’avvocato più bravo (e più caro).